Le mire di Erdoğan sull’Africa

di claudia
erdogan, turchia

di Mario Giro

Daquando è salito al potere, oltre vent’anni fa, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha capito che il continente africano poteva diventare uno scenario geopolitico favorevole per la Turchia – al contrario di ciò che si pensa in Europa, dove l’Africa è considerata solo come una minaccia (migrazioni e terrorismo) o un peso (malattie e povertà)

I due decenni di regno di Erdoğan dimostrano che una presenza intelligente in Africa può portare a un aumento di prestigio e di responsabilità internazionali. Oggi Ankara ha ambasciate in quasi tutti gli Stati del continente; ha aperto 20 uffici di cooperazione (l’agenzia turca Tika); 10 centri culturali; 14 centri religiosi (moschee costruite o restaurate, come la “Moschea Blu” di Accra, seconda per grandezza in Africa occidentale). L’aspetto più significativo è che lo stesso Erdoğan è il leader non africano ad avere visitato il continente con più frequenza: 40 volte in vent’anni. Oltre all’aumento esponenziale degli investimenti (il volume degli scambi commerciali si è moltiplicato per nove), che ha portato il Paese nella top ten globale in Africa (l’Italia è sesta), è soprattutto nell’ultima fase che la presenza turca è diventata strategica per ragioni militari: sono 19 i Paesi africani che importano armi dalla Turchia e 10 quelli dotati di droni turchi. Inoltre Ankara ha costruito due basi militari (Somalia e Libia), controlla 3 porti e 7 aeroporti in costruzione e può contare sulla rete di Turkish Airlines, la compagnia aerea più presente, che serve ormai quasi tutti i Paesi africani. Nel corso dei suoi mandati Erdoğan si è occupato anche delle emergenze, come quando è venuto in aiuto della Somalia afflitta dalla carestia. E, oltre a costruire edifici religiosi, Ankara finanzia scuole e ospedali in tutto il continente.

La Turchia è ancora lontana dal peso dei principali partner del continente come Cina, India, Usa o Ue, ma ha imparato l’arte di manovrare tutte le leve del soft power di cui dispone. I conglomerati turchi del settore privato si sono affermati in settori chiave dell’economia africana, con alcuni campioni come i colossi dell’edilizia, Summa, Limak o Al Bayrak. Paradossalmente, sono le stesse potenze occidentali ad aver in qualche modo spinto Ankara a trovarsi nuovi alleati in Africa, assieme a sbocchi commerciali. Ciò è avvenuto quando l’Unione Europea ha definitivamente chiuso la porta all’integrazione di Ankara come Paese membro. È stato un momento di verità e di svolta: quando Erdoğan ha compreso che il suo Paese non avrebbe ottenuto lo status di candidato, si è rapidamente rivolto altrove, in Medio Oriente, nel Mediterraneo orientale ma soprattutto verso l’Africa, aggredendo tutti i settori: dall’alimentare al militare. L’industria degli armamenti turca fornisce droni ai Paesi che non si possono permettere blindati, aerei o navi da guerra.

Considerata geopoliticamente più “neutrale” della Cina o della Russia, la Turchia è percepita da molti leader africani come meno arrogante delle ex potenze coloniali, meno attenta dei Paesi occidentali alle questioni dei diritti umani o all’uso finale delle armi. Erdoğan intrattiene rapporti stretti con Macky Sall del Senegal, che ha visitato quattro volte (le aziende turche hanno realizzato opere importanti come il Centro Congressi Abdou Diouf, la Dakar Arena o lo stadio Diamniadio). Una relazione stabile è quella con la Somalia. Nel 2017 Ankara ha impiantato a Mogadiscio la sua prima base militare in Africa, dove i militari turchi addestrano l’esercito nazionale nella lotta ad al-Shabaab. L’altro grande partner è il premier libico Abdulhamid Dabaiba, con cui Erdoğan ha stretto legami privilegiati. Fra Tripoli e Ankara c’è un accordo militare (i turchi hanno difeso la capitale libica dagli attacchi di Khalifa Haftar), oltre a quello sulla delimitazione della zona di interesse economico esclusivo nel Mediterraneo orientale che tanto ha irritato gli europei. La Turchia è un partner dell’Africa con il quale è necessario fare i conti.

Questo articolo è uscito sul numero di settembre-ottobre della rivista Africa. Per acquistare una copia clicca qui, o visita l’e-shop.

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