Tra i giovani che sfidano l’ultimo re assoluto d’Africa

di claudia

Reportage dal regno dell’eSwatini, l’ex Swaziland, ultima monarchia assoluta d’Africa, scosso da proteste e rivolte che nelle ultime due settimane hanno visto protagonisti migliaia di giovani studenti e attivisti, scesi in piazza per richiedere libertà e diritti democratici. La mobilitazione pacifica è stata brutalmente repressa nel sangue dalle forze di sicurezza fedeli al Re Mswati III. Ma la rivoluzione continua…

testo e foto di Alessandro Parodi

Le marce di protesta sono partite dall’ University of Eswatini (UNISWA) a Manzini, la seconda città per dimensioni, espressione del malcontento dei giovani che mettono in discussione l’autorità dell’ultima monarchia assoluta dell’Africa. Per settimane il governo ha ignorato le manifestazioni organizzate dagli studenti e dai partiti politici nei quattro distretti del Paese. L’insurrezione ha preso una piega inaspettata quando gli scoraggiati manifestanti hanno cominciato a distruggere e saccheggiare le aziende possedute dal re e da imprenditori stranieri. “Le proteste erano civili fino all’arrivo della polizia,” ha commentato Sifiso, che ha testimoniato su un intenso attacco verificatosi il 29 Giugno. “Hanno lanciato bombe lacrimogene e cominciato a sparare per uccidere”, ha aggiunto. I manifestanti hanno risposto con bombe al petrolio e incendiato la stazione di polizia di Kwaluseni. Si è scatenato l’inferno. “Improvvisamente ci siamo trovati in un fuoco incrociato,” ha aggiunto Sifiso, mostrando una cartuccia trovata per la strada. “Hanno picchiato e ucciso le persone. Qualcuno ha cercato di scappare e si è ferito alle gambe col filo spinato. C’era sangue ovunque, mentre tutto il quartiere andava a fuoco.”

Il collegio elettorale di Kwaluseni è stata una delle tante aree prese di mira durante le proteste. Il distretto di Manzini e la città di Matsapha sono state le più colpite, con interi quartieri distrutti dal fuoco, saccheggiati e colpiti dal potere delle forze dell’ordine. “Era martedì, alle 4 della mattina attorno all’area del birrificio,” ricorda Thando (nome di fantasia), un manifestante ignoto di Matsapha. “La polizia e l’esercito sono arrivati per fermare le rivolte. Mio fratello Sicelo era in testa al corteo. Penso abbiano sparato tre volte, mentre stava scappando.” “L’abbiamo portato all’ospedale ed è morto lì,” continua Thando. “nella notte, i soldati hanno rubato il corpo dalla camera mortuaria per bruciarlo. Fortunatamente un amico mi ha avvisato. Sono andato all’ospedale e ho recuperato il corpo con l’aiuto del segretario del PUDEMO (Peoples’ United Democratic Movement) per poter continuare l’autopsia.” Thando non ha più paura per la sua vita. “Quando dici la verità, qua finisci ammazzato. Ormai sono già morto. E’ solo questione di come,” aggiunge.

Silenziare l’opposizione sembra essere il modus operandi del regime, poiché il solo riportare “incidenti” è  risultato nella morte o sparizione degli analisti politici, giornalisti e dissidenti. Il governo Swazi si rifiuta di rispondere all’opinione pubblica, negando interviste e accrediti ai media del Paese. Comunque le voci parlano di un imminente Sibaya, assemblea generale indetta dalla monarchia per parlare ai sudditi, venerdì 16.

La pandemia di Covid-19 è diventata una scusa per limitare le libertà con l’istituzione di un coprifuoco alle 18 e il blocco temporaneo delle connessioni internet. La maggior parte delle torture e uccisioni riportate sono avvenute di notte. Uno di questi presunti incidenti ha causato la morte di Thabani Nkomonye, studente di legge dell’ University of Eswatini che è stato ucciso e fatto a pezzi dalla polizia il 8 maggio. Nei circoli accademici, il suo ricordo provoca ancora dolore e risentimento. L’omicidio ha innescato sentimenti di rivolte tra i suoi compagni, che hanno riempito i Tinkhundla Centres con migliaia di petizioni. I Tinkhundla Centres sono 55 stabilimenti amministrativi dove la popolazione può esprimere i propri diritti democratici e chiedere iniziative alla famiglia reale e al governo.

Kwaluseni, Eswatini. I manifestanti hanno devastato negozi e altre piccole imprese. © Alessandro Parodi.

Gli studenti chiedono un’amministrazione inclusiva e la transizione ad una monarchia parlamentare con il supporto di tre membri del Parlamento (MPs), che hanno messo in discussione la finta autorità del Parlamento. La risposta del governo è stata caratterizzata da rifiuto e repressione. I Tinkhundla Centres sono stati chiusi e cordoni militari sono stati posti attorno ad essi. “Quello che stavamo facendo era guidato dalla costituzione dello Swaziland,” ha commentato il leader degli studenti Bongumenzi Dlamini. “Hanno sbagliato a respingere le richieste. Le proteste non si fermeranno, poiché il governo si rifiuta di ascoltarci. I nostri genitori erano abituati a risolvere i problemi più pacificamente, questa è la nostra cultura. Ma questo modo non funziona. Se facciamo le cose con correttezza e rispetto questo ci si ritorce contro. Quando invece attacchiamo veniamo considerati come teppisti perché usano la cultura Swazi come scudo,” conclude Dlamini.

Nonostante le intenzioni pacifiche, le proteste sono finite nel sangue. Allo scoppiare della violenza furti e saccheggi hanno coinvolto tutti. “Non so che pensare, ho perso tutto,” dice Rambo Maziya, proprietario di due farmacie a Matsapha and Manzini. “Devo riaprire, non importa come, le persone hanno bisogno delle medicine. I miei concittadini stanno morendo.” “Non mi aspettavo andasse così male,” aggiunge Ali Tasty, proprietario di diversi negozi a Kwaluseni. “Sono tornato dopo due giorni ed era tutto bruciato. Cosa faccio ora?” Supermercati e concessionarie d’auto sono stati distrutti, per un danno di tre miliardi di Emalangeni (208 milioni di dollari). 5,000 posti di lavoro persi. “In queste situazioni ci sono sempre vittime. Sono una di queste,” commenta un impiegato di negozio, che vuole rimanere anonimo. “Proteggono il regime a nostre spese.”

La popolazione Swazi affronta ora una seria carenza di beni primari come cibo e medicine. Il rifornimento di benzina, monopolio della Southern Star Logistics, è diventato irregolare e provoca code infinite alle stazioni di servizio. L’economia Swazi è disillusa dal comportamento della monarchia verso il mercato libero, accusata di prevalere attraverso una competizione scorretta e un’insaziabile avidità.

Mentre il Paese cerca un doloroso ritorno alla normalità, i dissidenti MPs Bacede Mabuza, Magawugawu Simelane and Mthandeni Dube sono nascosti, con la polizia sulle loro tracce. La caccia è giustificata da un mandato d’arresto, sebbene i loro avvocati non abbiano chiarezza sulle accuse che pendono contro di loro. “Il sistema Inkundla si oppone all’esistenza di una voce democratica in Swaziland” ha dichiarato l’avvocato difensore Thulani Maseko, direttore dell Institute for Democracy and Leadership in Mbabane. “Anche se abbiamo il diritto di eleggere i membri in 59 collegi elettorali, l’esecutivo rimane prerogativa del Re, in particolare la scelta del Primo Ministro. Il secondo punto fondamentale è che i partiti politici non possono contestare il potere politico come gruppo.” I partiti politici sono stati proibiti nel 1973 dal Re Sobhuza II. “Questi parlamentari, che oggi rischiano di essere arrestati, hanno comunque qualcosa da dire, che il governo sia espressione di un’elezione regolare. Questa è la ragione per cui il sistema è turbato,” conclude Maseko. Il suo collega Emmanuel Mabuza è preoccupato per la sua sicurezza e teme ritorsioni: “Se la protesta fallisce, siamo tutti morti . Ci troveranno e ci faranno sparire,” ha affermato.

Il 4 luglio, una missione di accertamento di osservatori dei paesi del SADC (Troika) ha incontrato I rappresentanti del governo a Mbabane. L’inchiesta internazionale è stata chiusa poiché la delegazione non ha potuto incontrare la società civile e altri rappresentanti dell’economia. La missione è tornata il 12 luglio, nonostante lo scoppio di violenze non correlate nel vicino Sudafrica. Mentre aspetta i risultati dell’inchiesta, la popolazione Swazi si sta preparando per nuove proteste. L’allerta sta salendo, fra crescenti paure di ulteriori violenze, distruzioni e morti.

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