Matteo Pinotti | Ritratto di Nobel africano

di Pier Maria Mazzola

L’assegnazione del Nobel per la Pace 2019 al primo ministro etiope Abiy Ahmed è un’opportunità mediatica interessante. Per una volta si parla di Africa e di africani non per documentare l’ennesimo dramma o scandalo, oppure la generosità del “resto del mondo” che si degna di aiutare il continente nero; in questo caso si è premiato un politico africano, la sua visione e azione politica, la credibilità della sua persona.

Procedure di pace

Un anno e mezzo di lavoro ha avuto risultati concreti evidenti: a livello internazionale, anzitutto, la riapertura del dialogo di pace con l’Eritrea, un obiettivo in cui in questi 20 anni avevano fallito uno dopo l’altro tutti i leader e le organizzazioni politiche ed economiche mondiali. La questione è molto complessa, il governo eritreo si è tirato indietro, ma almeno qualcosa si è mosso verso la pace, e non grazie alle pressioni e ai ricatti internazionali.

Dal punto di vista interno dell’Etiopia, il più importante risultato del nuovo primo ministro è stato l’allontanamento della prospettiva di una devastante guerra civile su base etnica, eventualità che un anno e mezzo fa era tutt’altro che improbabile. È stata anche molto significativa, per rafforzare il consenso tra la popolazione, la visita di Abiy Ahmed a Paesi arabi e africani che ha ottenuto il rimpatrio di diverse migliaia di etiopici che si trovavano imprigionati come immigrati clandestini e privi delle risorse per ritornare a casa.

Nel discorso del suo insediamento, ha ringraziato anzitutto sua madre e sua moglie, scelta certamente inusuale per un africano; coerentemente con questa visione positiva della donna, metà dei nuovi ministri sono donne competenti e preparate.

Capacità di governo

È stata una sorpresa per me la franchezza del suo primo discorso alle autorità militari, in cui ha parlato con chiarezza tutt’altro che diplomatica, bensì da militare a militari, dei problemi anche interni dell’esercito.

È indubbiamente una persona con molte capacità e doti, intellettuali e fisiche, ma la marcia in più che si percepisce è una chiara visione, un progetto di riconciliazione ambizioso ma realistico per il futuro del Paese. Questo progetto è sempre comunicato e proposto con piena dedizione, con passione e trasporto. Per questo come persona viene apprezzato da giovani e anziani, da persone di diverse etnie e religioni.

Non mancano le opposizioni e i rifiuti, il più delle volte motivati da contrasti di interesse e da privilegi perduti. Con molta fiducia, in qualche caso fin troppa, ha riammesso nel Paese tutti i rappresentanti di opposizione che fossero disposti ad accettare le regole della democrazia; una scommessa che vedremo alla prova nelle elezioni del prossimo mese di maggio 2020, se si riuscirà a non rimandarle.

Personalmente l’ho apprezzato soprattutto nelle conferenze stampa a botta e risposta coi giornalisti, in cui ha manifestato una determinazione forte e, nello stesso tempo, una libertà che definirei interiore. È capace anche di autoironia, e questo a volte sdrammatizza situazioni pesanti. Circa un anno fa, di fronte all’insubordinazione di una ventina di guardie del corpo, che stava creando una pericolosissima tensione nel palazzo del governo, ha risolto la situazione ammettendo una propria dimenticanza ed eseguendo come “autopunizione” una decina di flessioni davanti a loro.

Una transizione politica epocale

Come personalità è il degno erede di Meles Zenawi, il premier che ha guidato il Paese e il partito nei primi anni del dopo-rivoluzione; ma ora la posta in gioco è molto più alta, ossia il passaggio del potere da una etnia minoritaria a una gestione più democratica e partecipata.

Qualcuno sottolinea il rischio di un «culto della personalità» che in passato in molti Paesi ha condotto a derive dittatoriali. È un pericolo reale, ma a tutt’oggi nel mondo africano i cambiamenti strutturali e culturali passano necessariamente attraverso i leader, e in questo momento Abiy Ahmed è certamente tra i più promettenti.

Credo sia il momento di dare fiducia a questa visione positiva e di speranza, pur sapendo che potrei essere smentito in qualsiasi momento: un nuovo attentato domattina o nei prossimi anni; una deriva dittatoriale; il rinvio delle elezioni a tempo indeterminato; lo scoppio di un nuovo conflitto con l’Eritrea. I pericoli non mancano. Il Nobel sarà certamente di aiuto nel conferire al primo ministro una maggiore autorevolezza, soprattutto all’interno, nel gestire le opposizioni e i contrasti etnici usando il meno possibile la forza, così come si è proposto di fare.

Un mese fa, come attenzione all’ambiente, in tutta l’Etiopia in un solo giorno sono stati messi a dimora 35 milioni di germogli di alberi, con l’impegno di seguirne la crescita per i primi due anni. Tutti hanno partecipato, Chiesa cattolica compresa. Mi piace pensare a quelle piantine come a tanti segni di speranza, fragili ma che, con un po’ di attenzione e di rispetto, potranno cambiare il volto del Paese.

Matteo Pinotti per SettimanaNews

Matteo Pinotti è un missionario fidei donum della diocesi di Mantova, in servizio in Etiopia, nel vicariato apostolico di Gambella.

 

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