L’indelebile linea del colore – editoriale Africa n°6-2017

di AFRICA
L’indelebile linea del colore

di Pier Maria Mazzola

Un amico che abita in campagna mi ha confidato un piccolo caso. Un giorno, un ragazzo di una delle famiglie vicine gli rinfaccia di dare ospitalità a dei «profughi negri». Dopo aver chiarito al giovane, evidentemente portavoce più o meno consapevole dell’umore dei familiari, la sgradevolezza della parola «negro», il mio amico gli ha spiegato che quei «profughi» erano una famiglia di amici africani venuti a trovarlo per una breve vacanza, che risiedevano in Italia da lunga pezza e, anzi, i due bambini dalla pelle nera nel nostro Paese ci sono pure nati, come testimonia il loro perfino eccessivo accento regionale. Che cosa ci è successo, a noi “italiani”? (Il mio amico è dell’Emilia, ex regione della cordialità in cui i casi di intolleranza clamorosi stanno conoscendo un’impennata).

Ci fu un tempo in cui l’antirazzismo mi pareva una battaglia di retroguardia, tanto sembrava fossimo incamminati sulla irreversibile via dei diritti umani. E i giovani apparivano, nell’insieme, il motore di quell’inarrestabile marcia. Poi c’è stata una rottura. Mi viene di datarla alla fine degli anni Ottanta, quando il prevalere dell’immagine sui contenuti, il consumismo tendente all’edonismo, l’io prima dell’altro cominciarono a divenire virtù, non più nuovi o antichi vizi dell’essere umano. Lo sdoganamento dell’egoismo. In controtendenza, c’era il boom del volontariato, della solidarietà – che cercava appunto di ricostituire, sotto forma di “società civile”, il tessuto culturale che si stava velocemente sfilacciando.

Poi, le prime ondate di migranti, e fino ai giorni nostri. La politica ha inventato “ministri della Paura” (o creandoli o non sapendo opporvisi) e l’informazione ha gettato benzina sul fuoco. Infine i social network sono venuti a dare la miccia in mano a chiunque. In Italia abbiamo toccato, nel 2017 (ma non per la prima volta), i livelli massimi di razzismo, secondo gli istituti di ricerca. Eppure non mancano i dati, gli studi, le analisi che da una parte spiegano il perché delle partenze (dall’Africa: è questo che preoccupa i più) e dall’altra provano che gli immigrati producono più risorse economiche di quante non ne ricevano, tamponano la crisi demografica, creano imprese mentre gli italiani le chiudono, non portano malattie più di quanto non lo facciamo “noi” di ritorno dall’estero, delinquono tanto quanto, se non meno, la pura razza italiana…

Niente. La razionalità non è più di casa, nel nostro evo post-postmoderno. Non solo nella questione migrazioni, peraltro; sorgono sempre nuovi “no-qual-cosa” che in comune hanno il ripudio della scienza. Ma se poi c’è di mezzo pure la pelle… «La questione centrale del XX secolo sarà la questione della linea del colore e si vedrà fino a che punto le differenze di razza – che si notano soprattutto per il colore della pelle e per i capelli – verranno utilizzate come ragione per negare alla maggior parte della popolazione mondiale il diritto di fruire pienamente delle opportunità e dei privilegi che la civiltà moderna porta con sé». Lo diceva W.E.B. Dubois (foto in alto), il leader panafricanista statunitense, nel 1900. Solo su una cosa si sbagliava: sul secolo.

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