Da plastica marina ad abiti di alta moda: la rivoluzione verde di un marchio tunisino

di claudia

Ogni anno circa settemila tonnellate di rifiuti di plastica finiscono per sporcare le spiagge delle isole Kerkennah a 20 chilometri dalla città portuale di Sfax, in Tunisia. Un disastro ecologico che fino a qualche anno fa non prestava soluzioni efficaci, ma le cose stanno cambiando e una risposta potrebbe arrivare dalla moda. Nuovi marchi ecosostenibili stanno investendo per produrre abiti realizzati con una fibra composta da una percentuale sempre più alta di plastica marina. Di recente c’è stata la prima sfilata di un marchio d’alta moda che ha dato nuova vita ai rifiuti di plastica e al futuro degli oceani.

L’accumulo di plastica marina delle isole Kerkennah della Tunisia è dovuto alle correnti che trasportano i rifiuti dall’Europa nel Golfo di Gabes. Qui, un gruppo di raccoglitori chiamati “barbesha” – grazie a un programma finanziata dall’Unione Europea – si occupano di raccogliere ogni giorno i rifiuti che soffocano un luogo una volta punto di passaggio per gli uccelli migratori. I numeri sono indicativi di un problema quanto mai urgente: parliamo di settemila tonnellate all’anno che si riversano sulle spiagge. I rifiuti raccolti in una giornata vengono recapitati a una selezionatrice. Da qui la plastica viene presa in carico da una società di raccolta che si occupa di immetterla in un frantoio e infine imballarla, spiega l’Afp.

Ma, dove va tutta questa plastica frantumata e imballata? Molta della quale diventa parte di un ecologico filato abbastanza spesso, pensato e usato inizialmente per l’abbigliamento sportivo. Di recente però tessuti realizzati con rifiuti di plastica marina hanno calcato le passerelle della settimana della moda a Tunisi.

Per trasformare la plastica in filato il processo è garantito da un macchinario in Portogallo, in uno dei soli quattro stabilimenti al mondo dotati della tecnologia in grado di frantumare la plastica marina. Il risultato è una fibra di nylon “Seaqual Yarn”. Una procedura innovativa, spiega all’agenzia Afp Omar Kcharem, il capo di Kerkennah Plast, che compatta e frantuma la plastica, che fino a poco tempo fa non risultava riciclabile per la lunga esposizione al sole e all’acqua salata.

Seaqual Yarn comprende circa il 10 percento di plastica marina riciclata, ma è solo l’inizio, l’obiettivo è aumentarla. Ma la maggior parte del processo di riciclo avviene nella città costiera di Ksar Hellal a sud-est di Monastir, grazie a un enorme macchinario nello stabilimento Sitex che trasforma il filato Seaqual in denim.

Il marchio ecosostenibile tunisino Outa è una realtà che di recente ha scelto questo tessuto per realizzare gli abiti della sua collezione che hanno sfilato per la prima volta alla settimana della moda di Tunisi. Una delle stiliste impiegate nel progetto, la famosa designer francese Maud Beneteau ha commentato così all’agenzia questa novità: “Una vera sfida. C’è una dimensione umana in questo meraviglioso progetto che si allinea con l’idea di salvare il pianeta”. Non l’ha fermata il tessuto molto diverso dal solito lino o cotone solitamente impiegati nell’alta moda, sottolineandone la qualità.

“È un ottimo filato. Se poi pensi che questo tessuto è riciclato ed ecologico e che per realizzarlo siano stati creati posti di lavoro, a partire dalle persone che raccolgono la plastica… è davvero una catena interessante.”, ha commentato ad Afp Beneteau.

Uno degli ostacoli da superare sono i costi, più alti del 20% rispetto al denim senza il contenuto di plastica marina. Ma i tempi sono maturi per ispirare sempre più designer ad abbracciare questo nuovo orizzonte fatto di collezioni moda eco-responsabili, ha spiegato all’agenzia Afp Anis Montacer, fondatore del marchio tunisino di tessuti e moda Outa.

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