Clarisse, la cuoca fusion dell’intercultura

di AFRICA
Clarisse

Dalla Repubblica Democratica del Congo al Veneto, dai piatti tradizionali africani della sua infanzia alle rielaborazioni fusion con la gastronomia italiana: oggi andremo a conoscere Clarisse Bithum. Il suo credo? La contaminazione dei sapori e la passione per la cucina come potenti strumenti di incontro fra persone e culture

«Sono congolese, vengo dalla città di Kisangani dove la cultura del cibo è molto diffusa, e lo era anche nella mia famiglia. Sono cresciuta tra persone che cucinavano molto bene e così ho imparato anche io». Così Clarisse Bithum, dalla provincia di Verona dove vive oggi, ci racconta dell’origine della sua passione per la cucina. Un amore che ha riscoperto poi in Italia proprio dalla suocera veneta, con cui non ci si capiva all’inizio a livello linguistico, ma con cui ha legato tantissimo proprio grazie al linguaggio culinario e a quella complicità tutta al femminile che si crea tra donne in cucina.

Dopo una laurea in Gestione dello sviluppo in Repubblica Democratica del Congo, Clarisse è arrivata in Italia nel 2015, non senza aver prima soggiornato in diversi Paesi del suo continente: dal Ruanda al Benin, dall’Uganda al Burundi e ancora al Togo. Nel nostro Paese, scoprirà che il suo titolo di studio non è valido, e che avrebbe dovuto ricominciare il suo percorso di formazione da capo. Dopo un momento di scoraggiamento, con determinazione decide di intraprendere quello che ha già capito essere la sua duplice strada: da un lato la cucina, dall’altra l’intercultura e l’inclusione. Tra il diploma di maturità alla scuola professionale di enogastronomia e diversi master in ambito di migrazione, accoglienza e mediazione linguistica e culturale, Clarisse ha infatti avuto la capacità di trasformare le frustrazioni dovute alle difficoltà di integrazione sul territorio in impegno e riscatto per altre donne, lavorando come volontaria in progetti di integrazione per donne straniere presso associazioni e collaborando con i servizi sociali nell’ambito della mediazione.

«Ho vissuto esperienze non sempre facili in Veneto: per una ragazza africana qui non è facile, c’è bisogno di un lavoro di mediazione culturale. Per questo ho voluto creare una pagina Facebook, per far sì che le persone possano parlarne attraverso il cibo». Nasce così su Facebook la pagina Clarisse, cuisine e culture, dove luoghi, elementi naturali, sapori, profumi, ingredienti africani e perchè no, ricordi di infanzia e giovinezza di Clarisse, prendono vita in creativi piatti fusion, che accarezzano il palato, rallegrano la vista e allietano lo spirito con le loro storie. Qualche esempio? Un’insalatina esotica a base di mango, salmone marinato in olio e lime e striscioline di radicchio condito con una vinaigrette di mango e lime, piuttosto che con un semifreddo fusion a base di frutti di baobab e frutti di bosco con qualche fogliolina di menta. Per non parlare della rielaborazione del piatto degli “studi a Goma”, a base di patate bollite e fagioli. In Congo, «che uno sia ricco o meno, patate e fagioli è il piatto che unisce tutti. Noi studenti amavamo molto questo cibo il quale dava un senso di unione tra tutti noi che provenivamo da città e da esperienze differenti», scrive Clarisse. Nella sua cucina fusion, la cuoca rivisita piatti italiani o congolesi: «posso fare un piatto italiano e metterci una spezia africana per esempio, per creare una connessione tra le culture».

Ma i sogni e le ambizioni di Clarisse si spingono oltre, e prendono forma in un progetto concreto, in cui far convergere le sue esperienze di migrazione e di mediazione culturale con la formazione e la passione nell’ enogastronomia, aiutando donne che devono cominciare da zero nel nostro Paese e che non hanno avuto la fortuna di poter frequentare scuole professionali. Il progetto In-fusion prevede di selezionare un gruppo di collaboratrici italiane e straniere, finanziarne la formazione e realizzare poi incontri fusion nelle associazioni, nelle sagre e nelle scuole. Clarisse: «Gli obiettivi sono quelli di contribuire alla conoscenza delle differenti culture e allo stesso tempo potenziare l’empowerment economico e sociale dei migranti. Sarebbe bello far conoscere nuovi piatti e cucine, non solo in generale a tutta la popolazione italiana, ma anche agli studenti degli istituti alberghieri – dove a Verona tanti sono gli alunni stranieri – in cui le cucine asiatica e africana per esempio sono del tutto assenti nei programmi: mi piacerebbe che delle esponenti di quelle culture potessero esserne le formatrici e ambasciatrici».  La cucina di Clarisse non dà dunque vita solo a gustosi e inediti sapori, ma anche a belle idee: l’appuntamento è alla settimana prossima con un piatto che ci presenterà lei stessa.

(Luciana De Michele)

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