Centrafrica – Disarmo e decentramento, i punti forti dell’accordo di pace

di Enrico Casale
miliziani centrafricani

Il 6 febbraio a Bangui, il governo e i gruppi armati centrafricani hanno firmato «l’accordo politico per la pace e la riconciliazione». Ci sono molti punti importanti in questo documento.

Al di là della questione fondamentale della giustizia, l’accordo prevede «la completa dissoluzione dei gruppi armati su tutto il territorio nazionale». I 14 gruppi armati che controllano l’80% del Paese e la lotta per il controllo delle vaste risorse dell’Africa centrale si sono impegnati a «partecipare pienamente» nel processo di disarmo e a «bandire ogni tentativo di prendere il potere con la forza».

All’articolo 21, l’accordo stabilisce che il capo dello Stato «si impegna a istituire un governo inclusivo immediatamente dopo la firma». Nessun ulteriore dettaglio sulla distribuzione dei portafogli. Oggi il governo ha già sei membri provenienti da gruppi armati che occupano, tra l’altro, importanti dicasteri come lavori pubblici, acqua, foreste ed energia.

Secondo una fonte vicina al capo dello Stato che ha partecipato ai negoziati di Khartoum, «il principio di un governo inclusivo è stato riaffermato con forza». E se i gruppi armati hanno chiesto il posto di primo ministro, la difesa o l’interno, «ciò rimane di competenza del capo dello Stato».

Un altro punto importante: i firmatari si impegnano a «costituire unità miste» gruppi armati Faca-Minusca. Obiettivo: assicurare i corridoi della transumanza e anche, dice un osservatore del processo, offrire un lavoro ai combattenti.

Il governo è inoltre impegnato a adottare prontamente una nuova legge sul decentramento con un trasferimento di competenze e soprattutto risorse. Una delle sfide è passare da un accordo globale a un’implementazione locale, una delle condizioni per il ritorno dello Stato e la stabilità in tutto il Paese.

L’accordo, che deve essere controfirmato dall’Unione Africana questa domenica, è stato reso pubblico solo ieri. Questo accordo di pace è l’ottavo dal 2012. I sette precedenti non sono mai stati rispettati e non hanno permesso di porre fine alla violenza.

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