Un patrimonio che non smette mai di meravigliare

di claudia

di Mario Ghirardi

Il patrimonio storico – culturale e naturalistico dell’Africa non smette mai di stupire, e tante volte lascia di stucco persino gli specialisti per le tante sorprese che riserva non appena si scava oltre la superficie dei problemi. Ennesima riprova è l’inserimento nel più recente ‘catalogo’, ovvero quello 2023, di 8 nuove terre africane, dal Ruanda all’Etiopia, dal Madagascar alla Tunisia, passando per il Congo e il Benin.

L’Unesco, l’organizzazione delle Nazioni Unite che si riserva il compito di catalogare e sostenere la conservazione di queste aree in tutto il nostro pianeta, è lo specchio che le fa conoscere anche al grande pubblico, aggiornandolo anno dopo anno sulle iniziative di tutela e valorizzazione di siti tanto interessanti quanto appunto poco conosciuti. Ennesima riprova è l’inserimento nel più recente ‘catalogo’, ovvero quello 2023, di 8 nuove terre africane, dal Ruanda all’Etiopia, dal Madagascar alla Tunisia, passando per il Congo e il Benin.

Una delle nazioni che sta man mano offrendo maggiori nuovi spunti è l’Etiopia. Una delle più recenti tutele Unesco è infatti per il semisconosciuto paesaggio agrario coltivato dal popolo Gedeo lungo il bordo orientale del Rift Principale, con alberi grandi che proteggono l’enset, la principale coltura alimentare, sotto cui cresce anche il caffè. L’area è densamente popolata e venerata dai Gedeo che usano foreste considerate sacre per rituali connessi alla propria particolare religiosità, cui sono legati anche estesi gruppi di monumenti megalitici. Sempre in Etiopia ‘new entry’ è il Parco nazionale dei Monti Bale, creato da antiche colate laviche e glaciazioni della Great Rift Valley. Il paesaggio è spettacolare, con picchi vulcanici, laghi glaciali, gole profonde in cui scorrono, anche attraverso poderose cascate, i cinque principali fiumi della regione che permettono la vita di milioni di persone.

Restando a parlare di foreste, va segnalato l’inserimento di tutela del Parco Nazionale di Nyungwe in Ruanda, nell’Africa centrale, dove la foresta pluviale è per larga parte intatta e si sviluppa tra torbiere e brughiere che ospitano flora e fauna altamente diversificata. Qui vivono ad esempio gli scimpanzè orientali, la scimmia dorata e il pipistrello ferro di cavallo, minacciati di estinzione a livello globale, insieme a 12 specie di mammiferi e 7 di uccelli. Non manca contemporaneamente attenzione neppure alla travagliata storia del Ruanda, quando tra l’aprile e il luglio esattamente di 30 anni fa, furono sterminate ben un milione di persone, giustiziate dalle milizie armate che presero di mira i tutsi insieme ai nemici hutu più moderati. Sono stati realizzati nel tempo siti commemorativi sui luoghi che videro alcune delle principali stragi, quali una chiesa cattolica a Nyamata e una scuola a Murambi. La collina di Gisozi a Kigali ospita il memoriale del genocidio, costruito 25 anni fa sul luogo dove sono sepolte 250 mila vittime. Analogo mausoleo si trova a Bisesero, dove le vittime furono assediate per due lunghi mesi prima del massacro. I 4 luoghi uniti adesso fanno parte anch’essi del Patrimonio dell’umanità.

Tornando ai siti naturali che dominano la scena si sono scelti ancora il massiccio forestale di Odzala Kokoua in Congo e le foreste secche Andrefana del Madagascar, che hanno visto ampliati i loro confini. Il sito congolese è un esempio su scala eccezionalmente ampia del processo di ricolonizzazione forestale post glaciale degli ecosistemi della savana, punto di convergenza di tipi molteplici di ecosistemi, la foresta congolese, quella della Bassa Guinea e la savana. Nel parco c’è la più ricca diversità di primati della regione e una presenza importantissima di elefanti. Le Andrefana sono invece particolarmente interessanti per la concentrazione di paesaggi carsici e altopiani calcarei con imponenti picchi e spettacolari ‘aghi’ calcarei, tagliati dal profondo canyon del fiume Manambolo. Altissima è la varietà di biodiversità endemica, tra baobab e ‘delonix’, ovvero i cosiddetti ‘alberi di fiamma’, e un ordine di uccelli che risale a 54 milioni di anni fa, i ‘Mesitornithiformes’.

Testimonianze di vita aggregata sono state giudicate quelle sull’isola di Djerba in Tunisia, proteggendo insediamenti risalenti al nono secolo e creati in un territorio desertico. Qui una fitta rete di strade divide l’insediamento di quartieri a bassa densità abitativa, economicamente autosostenibili, con caratteristiche derivate da una particolare miscela di fattori ambientali, economici e socioculturali, che hanno permesso la vita in un territorio in cui l’acqua è scarsissima. Altro insediamento umano degno di maggior tutela, con ampliamento di confini, è quello dei Batammariba, tra Benin e Togo nord orientale, che segna il paesaggio della regione di Koutammakou, con le singolari ‘takienta’ (al plurale dette ‘sikien’), che sono case torri fatte di fango rispecchianti le gerarchie sociali della popolazione e sono fortemente legate ai suoi riti sacri, con villaggi dove sono presenti sorgenti, rocce sacre, spazi cerimoniali e di iniziazione.

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