Un film marocchino tra memoria famigliare e sociale

di claudia

di Annamaria Gallone

Presentato al Festival di Cannes 2023 per la sezione Un Certain Regard, il film della regista marocchina Asmae El Moudir, “La madre di tutte le menzogne” fa emergere dei fatti storici come le rivolte del pane del 1981, mostrando quanto questo evento sia connesso alla società marocchina contemporanea. Una storia tanto intima quanto politica.

Coprodotto da Marocco, Egitto, Arabia saudita e Qatar. Presentata in selezione ufficiale nella sezione Un Certain Regard al Festival di Cannes 2023, dove ha ricevuto il premio Golden eye per la miglior regia, è stata insignita del gran premio al Festival cinematografico di Sydney. Si tratta di LA MÈRE DE TOUTES LES MENSOGNES, (La madre di tutte le menzogne) in cui, ASMAE EL MOUDIR, figlia e regista, traccia un’auto fiction familiare e insieme raccontale rivolte del pane del 1981 e mostrar come questo evento sia connesso alla società marocchina contemporanea.

Dopo aver terminato i suoi studi di cinema, ritorna alla casa dei suoi genitori a Casablanca per aiutarli a traslocare. Una volta nella sua casa d’infanzia, inizia a sistemare po’ alla volta gli oggetti che appartengono al passato. All’improvviso la sua attenzione viene catturata da una foto di bambini che sorridono nel cortile di un asilo. Quasi fuori campo c’è una bambina seduta su una panchina, che guarda timidamente la telecamera. Questa foto è l’unico ricordo che sua madre ha saputo trasmetterle. Quest’immagine non convince la regista che comincia così un’indagine su tutte le bugie che la famiglia le ha raccontato. A poco a poco Asmae esplora la memoria del suo quartiere e del suo paese. La prima protagonista è la nonna, rigida e severa, ma poi, poco a poco tutti i componenti della famiglia svelano i loro segreti sempre tenuti nascosti.

La regista si mostra poco, accetta di essere filmata senza velo sui capelli, usa la sua libertà di parola e la sua macchina fotografica come armi democratiche. Il racconto è minimalista e lo sguardo della telecamera, per nulla inquisitore e voyeurista, aggiunge intensità al racconto e riesce a narrarci una storia tanto intima quanto politica, tessendo una commovente testimonianza d’amore.

Nel suo film precedente, Postcard, Asmae El Moudir partendo da una cartolina postale si era concentrata nello stesso modo sul tema della memoria famigliare, riproducendo il villaggio che sua madre aveva abbandonato quando era bambina, il quotidiano degli abitanti e la memoria della famiglia.

Dice Asmae: “Come giovane regista marocchina, porto dentro di me molte domande senza risposta. Alcune sono personali, altre politiche e voglio porle ora, sia come regista che come figlia dei miei genitori, interagendo con le persone a me più vicine: la mia famiglia. Da queste relazioni familiari ho creato un luogo comune per il film, la nostra casa a Casablanca. Un luogo pieno di complicità, amore, ostilità e obiezioni. Indagando sulle storie della mia infanzia, interagisco con mia madre, mio padre e mia nonna. Questo mi permette di mettere in discussione i miei ricordi, incastrati tra finzione e realtà, tra verità e menzogna. E mostro quanto sia difficile costruire la propria identità quando nessuno dei ricordi che abbiamo è affidabile. Questa scelta narrativa mi ha dato l’opportunità di interrogare i miei genitori sulle “rivolte della fame” del 1981 e sul modo in cui hanno vissuto questo capitolo oscuro e poco conosciuto della storia marocchina. Il mio obiettivo non è tanto cercare di documentare la vera storia di questo periodo, ma realizzare un film sulla molteplicità dei punti di vista e sulla pluralità di interpretazioni che coesistono, che si tratti di storia familiare o nazionale”.

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