Sudafrica: Chasing The Sun II, anche gli Springboks piangono

di claudia

di Andrea Spinelli Barrile

Lo sanno tutti: gli uomini sudafricani non piangono mai. Tranne quando gli Springboks vincono la Coppa del Mondo. Dal 23 marzo il Sudafrica si sta allagando, di nuovo, nei fiumi di lacrime che i tifosi rugbysti stanno versando per la messa in onda di Chasing The Sun II, il documentario sulla vittoria dell’ultima Coppa del Mondo di rugby degli Springboks, una vittoria che ha consacrato la squadra africana come la più vincente di sempre, nella storia ovale.

Già la prima edizione di Chasing The Sun, mandata in onda dopo la vittoria degli Springboks del mondiale 2019 in Giappone, aveva commosso e galvanizzato il Paese africano. Per l’occasione della Coppa del Mondo in Francia, l’anno scorso, DSTv aveva rimesso online tutte le puntate. Lo scorso 23 marzo Chasing The Sun II è stato trasmesso in tv per la prima volta, sul canale 101 della tv digitale sudafricana e sulle principali piattaforme di streaming video. E questa volta, a differenza della prima edizione, è un lavoro non solo commovente e celebrativo, ma è anche capace di offrire uno spaccato del “nuovo” Sudafrica, dal punto di vista culturale e non solo.

Questo è evidente dai diversi video delle prime puntate, che sui social stanno diventando virali. Uno di questi, in particolare, mostra una scena in cui l’allenatore degli Springboks, Rassie Erasmus all’epoca direttore sportivo, parla con la squadra durante l’intervallo della semifinale mondiale giocata l’anno scorso contro l’Inghilterra e vinta di appena un punto dagli africani, 15-16. Una partita tra le più incerte, e drammatiche, nella storia dei mondiali e del Sudafrica ovale: il primo tempo si concluse 12-6 in favore degli inglesi e negli spogliatoi Erasmus parlò con toni molto duri ai suoi ragazzi, guardandoli uno ad uno e cercando di motivarli: “Avete regalato quel maledetto calcio di punizione e avevate promesso che non sarebbe successo! Avete promesso che li avreste massacrati in mischia, avete promesso che avreste giocato come se fosse la vostra ultima partita in gruppo. Siete dei cazzo di bugiardi!”.

Le parole di Erasmus, che ha fatto leva sull’ego e sui valori morali dei suoi giocatori per motivarli e portarli alla vittoria, sortirono l’effetto desiderato: al rientro in campo gli Springboks si mostrarono molto più determinati, concedendo agli inglesi solo un altro calcio di punizione e tre punti ma facendone segnare 10 sul tabellino. Nonostante il capitano inglese Owen Farrell, al 53′, riuscì a infilare un drop goal portando gli inglesi sul 15-6, la partita ha poi cambiato storia. Snyman, entrato dalla panchina, ha segnato una meta al 69′, trasformata dall’apertura Handre Pollard: 15-13. Poi, al 77′, sempre Pollard restituisce a Farrell il gesto atletico del calcio di rimbalzo, mettendo a segno altri tre punti e consegnando la vittoria agli africani.

Rassie Erasmus è nato nel 1972 e “rugbysticamente” è cresciuto durante l’Apartheid, quando a rugby giocavano quasi solo i bianchi afrikaner, e nonostante la sua formazione è riuscito ad imprimere nuovi e storici cambiamenti nel movimento rugbystico sudafricano: nel 2019 Siya Kolisi, numero 6 e primo nero a guidare gli Springboks da capitano, è stato anche il primo nero a sollevare una Coppa del Mondo di rugby nella storia di questo trofeo. Un risultato replicato nel back-to-back più entusiasmante di sempre, quello del 2023 in Francia. Il percorso di Erasmus, da giocatore prima e allenatore poi, è stato tutto improntato all’umiltà e al carattere per trasformare gli Springboks in una macchina tanto vincente, come era già, quanto inclusiva. La sua è stata una leadership rivoluzionaria ed ha impresso importanti cambiamenti al rugby sudafricano, che fino al 1995 era vittima del boicottaggio internazionale per via dell’Apartheid ma che, da quella prima storica Coppa del Mondo consegnata da Mandela al capitano Pienaar, è riuscito a percorrere una strada costellata di successi. Fino alla vittoria francese nel 2023, quando gli Springboks sono diventati la squadra più forte nella storia del rugby mondiale.

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