Zimbabwe – La crisi peggiora: mancano acqua e carburante

di Enrico Casale
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Sempre più difficile la situazione economica e sociale dello Zimbabwe. Le riserve di acqua del Paese dell’Africa australe sono quasi finite e non si prevedono piogge. Questo vuol dire che per irrigare i campi di grano gli agricoltori dovranno acquistare l’acqua da chi la estrae dal terreno con grandi spese aggiuntive. La crisi idrica si intreccia con la carenza di benzina: l’aumento del prezzo del carburante, imposto dal governo, ha fatto esplodere la rabbia popolare. Dieci giorni di scontri, culminati in esplosioni di violenze di strada tra il 14 e il 16 gennaio.

Ora le città principali dello Zimbabwe sono tornate alla calma, i negozi sono stati riaperti e il rincaro delle benzina sembra sia stato alla fine accettato dalla popolazione. Ma il fuoco non è affatto spento e il presidente Emmerson Mnangagwa, dopo quattordici mesi di speranze per un cambiamento politico, ora è in bilico, stretto da una parte dalla minaccia di una rivolta popolare di massa; dall’altra dall’esercito.

Tornato a casa in tutta fretta dall’Europa, dove avrebbe dovuto partecipare al summit di Davos durante il quale avrebbe cercato investimenti per il suo paese, Mnangagwa è andato in tv dicendo che «indagherà sulle accuse di uccisioni a carico di polizia ed esercito». La commissione diritti umani dello Zimbabwe, un organismo emanazione del governo, ha denunciato «sistematiche violazione da parte delle forze dell’ordine, torture e botte», in dieci giorni di scontri. I morti sono 12, molti manifestanti sono stati arrestati, a cominciare dal pastore Evan Mawarire, scomodo attivista che si occupa di diritti umani per una organizzazione non governativa. Accusato di «fomentare la rivolta», sul suo capo pendono fino a vent’anni di carcere. Stessa minaccia anche per Japhet Moyo, il capo del sindacato, anche lui in carcere.

Mnangagwa, soprannominato «il coccodrillo», uno dei più stretti collaboratore di Mugabe fino a due anni fa, è stato il capo della polizia segreta. Poi, l’esilio, il ritorno come salvatore della patria e le elezioni tenute a giugno e vinte con brogli e intimidazioni. Ora il presidente gioca la carta del dialogo nazionale con chiesa, società civile e opposizione e – costretto da un ordine del tribunale – ha accettato che venisse ripristinato l’accesso a internet, bloccato per quasi una settimana durante gli scontri. Ma per ora non si discute di riforme politiche, né della possibilità di formare un governo con gli oppositori del Movimento per il cambiamento democratico.

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