Yvan Sagnet e la sua lotta globale al caporalato

di claudia

di Ornella OdituroCentro studi AMIStaDeS

Yvan Sagnet è fondatore e Presidente dell’Associazione NO CAP, che ha come obiettivo quello di offrire servizi e soluzioni per i lavoratori agricoli. Azioni concrete e condivise per combattere la paura e la sottomissione a trattamenti inumani e degradanti nei campi. Nel 2016, è stato insignito dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella dell’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana, per il suo contributo all’emersione e al contrasto dello sfruttamento dei braccianti.

Questa è la storia di Yvan Sagnet, giovane studente che dal Camerun – grazie a una proficua collaborazione tra i il suo Paese e l’Italia – ha conseguito, nel 2013, la Laurea in Ingegneria delle Telecomunicazioni presso il Politecnico di Torino. Nel 2016, è stato insignito dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella dell’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana, per il suo contributo all’emersione e al contrasto dello sfruttamento dei braccianti. Vittima di una gravissima forma di sfruttamento lavorativo, oggi è fondatore e Presidente dell’Associazione NO CAP, che ha come obiettivo quello di offrire servizi e soluzioni per i lavoratori agricoli. Azioni concrete e condivise per combattere la paura e la sottomissione a trattamenti inumani e degradanti nei campi.

Yvan Sagnet nel 2008 ottiene una borsa di studio per la formazione e la ricerca in ingegneria. Si trasferisce, pieno di entusiasmo, da Douala – in Camerun – al campus internazionale di Torino. Ma, nel luglio 2011, per affrontare i problemi economici di qualsiasi studente fuori sede, Yvan Sagnet trascorre la stagione estiva a Nardò, in Salento (Puglia), dove inizia a lavorare come bracciante (raccoglitore di pomodori). Sottomesso ai caporali e sfruttato per il suo lavoro, decide di ribellarsi e organizzare una protesta con gli altri lavoratori che si trasforma subito in uno sciopero duraturo contro le inumane condizioni a cui erano stati sottoposti. In poche settimane, Yvan Sagnet diventa il punto di riferimento per la difesa dei diritti dei lavoratori agricoli e dei braccianti in tutta Italia. Il suo impegno e la sua lotta per i diritti dei lavoratori, soprattutto stranieri – ma erano coinvolti anche tanti italiani –, sfociano nella denuncia allo sfruttamento nei campi che ha portato al primo processo su scala europea.

Si tratta della delicatissima operazione investigativa “Sabr” (dal soprannome di uno dei caporali), importante perché per la prima volta nella storia giudiziaria del mondo del lavoro agricolo si riconosce il reato di “riduzione in schiavitù”. I braccianti venivano sottoposti a turni di lavoro nei campi di almeno 10-12 ore, al caldo torrido, senza riposo settimanale, per una paga di poco meno di 2 euro/ora, nella maggior parte dei casi in nero. Una parte consistente del salario veniva trattenuta dal caporale e dall’intermediario. La situazione di precarietà della maggior parte dei lavoratori stranieri li costringeva ad accettare qualsiasi condizione per poter sopravvivere.

Il caporalato, fino ad allora poco considerato sia dalle istituzioni sia dall’opinione pubblica – ma ampiamente praticato – è oggi in Italia reato a seguito del processo e all’iter giudiziario che si cristallizza nella Legge 199/2016, che modifica l’art 603 bis del Codice Penale. E così, con la lotta iniziata da Yvan Sagnet, che nel 2016 in Italia viene introdotto il reato di caporalato.

La lotta al caporalato

Ci sono voluti anni di protesta e di attività costante per dimostrare che il fenomeno non è circoscritto alla Puglia ma si tratta di una rete criminale internazionale che coinvolge non solo tutta l’Italia ma aziende, intermediari e braccianti rumeni, bulgari, polacchi, tunisini, sudanesi e tanti altri provenienti da paesi extra UE. Lo sfruttamento lavorativo è dato principalmente da forme illegali di intermediazione, reclutamento e organizzazione della manodopera; praticato in totale violazione dei diritti umani fondamentali e delle norme in materia di orario di lavoro, minimi salariali, contributi previdenziali, salute e sicurezza sul lavoro. Le condizioni di vita imposte a lavoratori e lavoratrici, approfittando del loro stato di vulnerabilità e bisogno, sono inumane e degradanti. Tale forma di sfruttamento è realizzata, per l’appunto, attraverso il ricorso al “caporalato” – termine con il quale si indica l’attività di intermediazione svolta dai “caporali” che reclutano manodopera e gestiscono in forma illegale la domanda e l’offerta di lavoro. La stagionalità della prestazione lavorativa e la brevità del periodo acuiscono questa forma di sfruttamento.

L’associazione No Cap

Il movimento nasce nel 2011 dall’iniziativa di Yvan Sagnet per contrastare il “caporalato” in agricoltura e per favorire la diffusione del rispetto dei diritti umani, sociali, e ambientali. Yvan Sagnet ha quindi deciso di mettere a frutto il bagaglio di conoscenze accumulato negli anni della protesta e di fondare l’Associazione NO CAP – grazie al supporto di tanti professionisti, volontari e attivisti che insieme hanno creduto nella lotta allo sfruttamento. La Rete Internazionale NO CAP ha deciso di strutturarsi in associazione che, di recente, ha assunto la forma giuridica di Ente per il Terzo Settore (ETS). Dalla protesta che ha caratterizzato il suo impegno dei primi anni sono approdati alla proposta, a strumenti più efficaci: il dialogo con le istituzioni, con le imprese, con i soggetti della filiera agricola per proporre un nuovo modello di sviluppo che vede al centro l’equità, la giustizia, il rispetto per i diritti umani fondamentali e per l’ambiente. Cambiare si può e lo dimostrano le tante imprese che hanno scelto di condividere la sua visione e i tanti consumatori che scelgono di acquistare prodotti etici per non essere più co-responsabili di questa nuova forma di schiavitù contemporanea. I prodotti NO CAP sono oggi disponibili e acquistabili al dettaglio in numerosissimi punti vendita in Italia, Austria, Germania e Belgio.

La filiera agricola etica– NO CAP ha acceso per prima in Italia i riflettori sul fenomeno del caporalato innescando un processo di presa di coscienza a tutti i livelli: legislativo – con l’adozione della prima legge nazionale contro il caporalato (Legge 199 del 2016) – e imprenditoriale proponendo un esempio economico virtuoso, basato sull’etica e sullo sviluppo sostenibile. Tale modello è stato accolto da molte aziende che, grazie a NO CAP, hanno iniziato ad assumere lavoratori e lavoratrici particolarmente vulnerabili, nel privilegiare processi naturali di coltura e nell’utilizzare fonti da energie rinnovabili per la produzione e vendita dei loro beni. Un modello che NO CAP definisce la “filiera agricola etica” contro il caporalato, che coinvolge lavoratori, produttori, trasformatori, distributori e consumatori e che premia le imprese virtuose attraverso il riconoscimento del bollino etico. In pochi anni, NO CAP è riuscita a far assumere centinaia braccianti che vivevano in situazioni di precarietà e fragilità (italiani, migranti europei ed extra UE), ha erogato servizi gratuiti come trasporti, alloggi, assistenza legale e sanitaria.

Il progetto NO CAP donne

Quando si parla di sfruttamento nel mondo agricolo l’attenzione è spesso rivolta ai migranti e agli uomini. Sono, invece, tantissime le donne, anche italiane, che vivono la stessa situazione di sfruttamento – a cui spesso si accompagnano abusi, violenza e umiliazioni degli imprenditori agricoli e dei caporali. È quanto successo alle braccianti agricole pugliesi e lucane, che da anni vedono i loro diritti lesi. È per loro che NO CAP ha realizzato il progetto “donne contro il caporalato”, avviato in collaborazione con alcune imprese agricole della zona che hanno aderito alla filiera etica e ottenuto l’attestazione di rete NO CAP con il conseguente riconoscimento del bollino etico. Le donne sono impegnate nella raccolta dell’uva da tavola acquistata da due importantissime catene di distribuzione alimentare che rifornisce oltre 500 punti vendita e supermercati affiliati del sud Italia.

Il bolino etico NO CAP

Tra le attività di cui si occupa NO CAP rientra anche quella finalizzata al rilascio di un bollino per attestare l’adozione, da parte delle imprese, di scelte etiche sul piano del lavoro e della sostenibilità ambientale lungo tutta la filiera agricola dei prodotti. Per rendere più trasparente la provenienza di un prodotto, le sue modalità di produzione, il rispetto dei diritti umani, l’applicazione di contratti legali, il rispetto per l’ambiente e il benessere degli animali. Il bollino NO CAP valorizza e premia l’impegno delle aziende che condividono principi e valori basati sul rispetto dei diritti umani e ambientali ma soprattutto sensibilizza i consumatori verso scelte etiche. Il logo del bollino è evocativo dell’azione che da tempo l’Associazione svolge contro il caporalato. Le mani colorate che tendono verso l’alto simboleggiano sia il lavoro dei braccianti sia la richiesta di aiuto per uscire dallo sfruttamento.

Credit Foto: NO CAP
Yvan Sagnet ha scritto due libri editi da Fandango: “Ama il tuo sogno. Vita e rivolta nella terra dell’oro rosso” (pubblicato nel 2012 e riedito nel 2017) in cui ripercorre le tappe della protesta per la tutela dei diritti dei braccianti migranti; nel 2015 scrive “Ghetto Italia. I braccianti stranieri tra caporalato e sfruttamento”.

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