La migrazione come trauma

di claudia

L’allontanamento, talvolta improvviso e violento, da un ambiente conosciuto e il successivo ingresso in un ambiente imprevedibile e sconosciuto, provoca confusione per l’identità dei migranti. Natalia Demagistre, psicologa italo-argentina racconta il suo impegno quotidiano in un centro di accoglienza, finalizzato al supporto di persone, in maggioranza africani, che hanno vissuto un’esperienza di migrazione.

di Natalia I. C. Demagistre

Mi chiamo Natalia Demagistre e, come tanti, vivo in una terra diversa da quella in cui sono nata. Vengo da Buenos Aires ma dieci anni fa ho scelto di trasferirmi in Italia per amore. Sono una psicologa, e il mio diploma è stato riconosciuto anche qui, ho un marito e un figlio di otto anni. Sono anch’io un frutto della migrazione, ma a differenza di molti il mio processo di inserimento nella società italiana è avvenuto senza grossi strappi. La migrazione il più delle volte non è un processo lineare. La diversità dei gruppi può essere una risorsa, ma può causare anche resistenze e il rischio che non ci si verifichi una “integrazione”. Quando le diverse culture non si “incontrano”, ma si “scontrano”, la situazione può provocare disagio e discriminazione. Collaboro con l’associazione Amsi, l‘Associazione Medici Stranieri in Italia, fornendo supporto psicologico tramite lo sportello gratuito. Parte del lavoro dello sportello psicologico, all’interno di un centro di accoglienza con migranti in maggioranza provenienti dall’Africa, è quello di predisporre le basi per un percorso di ricostruzione della propria identità e l’unione del doppio: abbandonare un Paese per inserirsi in uno nuovo, l’utilizzo di una doppia lingua e così via. Il lavoro di elaborazione del doppio verso una “integrazione” con il Paese ospitante non è sempre un percorso facile.  I migranti manifestano stress e incapacità immediata di trasmettere verbalmente il proprio disagio legato al cambiamento.

“Sono Kendra, ho 24 anni e vengo da un Paese dell’Africa. Sono in Italia da 5 mesi. Il mio ciclo mestruale si è alterato. Non mi riconosco con i nuovi vestiti e il clima è molto diverso. Faccio fatica a capire quando mi parlano. I suoni delle parole sono strani per me, ma ho imparato in questi mesi a creare musica con la lingua italiana e la mia lingua”

Costruire una nuova identità per superare il trauma della migrazione 

La persona che migra e arriva al centro di accoglienza, solitamente è in una situazione di vulnerabilità. Uno dei percorsi più delicati è quello di “rimodellare” una nuova identità, mantenendo uniti passato e presente con una visione al futuro. Il centro di accoglienza diventa un luogo che permette la presa in carico, la cura, la difesa dell’integrità fisica e psichica. Tale lavoro richiede un dialogo continuo ed una predisposizione all’ascolto e all’accoglienza, cercando di inquadrare l’esperienza del migrare in una opportunità, un’esperienza di rinascita, ricostruendo tutte le sfere che compromettono la persona, dalla psiche individuale e  alla relazione con gli altri. Di conseguenza, durante il soggiorno nel centro, è fondamentale cercare di mettere a disposizione tutti  gli strumenti a disposizione per creare un avvicinamento individuale perché molti di loro si manifestano diffidenti.

Conoscere l’italiano per ritrovare una voce

“A volte provo a dormire durante il giorno perché voglio che arrivi il prima possibile la sera. Vorrei tanto leggere ed imparare cose nuove, soprattutto la lingua”.

È un periodo particolare e difficile, dove tante attività sono state chiuse e la situazione è diventata ancora più precaria. Per questo motivo nel nostro centro abbiamo pensato di aprire nuovi spazi, creando una stanza di lettura. Nello specifico, abbiamo organizzato una raccolta di libri usati di diversi generi: dai romanzi storici, agli atlanti geografici, ai manuali di letteratura. Dai testi sulle religioni ai libri per bambini e così via. L’idea è nata dalla richiesta di due ragazzi di potere avere qualche libro da leggere. I libri alimentano anche la curiosità ed aiutano a riempire le loro giornate di solitudine, nell’attesa del loro incerto futuro. Tramite l’apprendimento della lingua italiana, vengono proposte attività di carattere psicologico. Facendo sempre attenzione a non lasciare fuori la propria lingua madre e creando così un percorso di costruzione della loro identità tramite un dialogo interculturale.

“Mio figlio nascerà in Italia, ma io non so come dovrei parlargli. Se penso a quando sarò in ospedale, mi fa sentire in imbarazzo se mi sentiranno parlare a mio figlio nella mia lingua. Come devo fare?”

La migrazione come esperienza di lutto

L’allontanamento, talvolta improvviso e violento, da un ambiente conosciuto e il successivo ingresso in un ambiente imprevedibile e sconosciuto, provoca confusione per l’identità dei migranti. L’assenza della famiglia e del Paese di origine, insieme all’esperienza di una nuova realtà, può provocare il vissuto di una esperienza di lutto. Lo straniero è chiamato a riformulare la propria identità in un altro contesto, è sottoposto a continui adeguamenti, a una negoziazione permanente rispetto a un modello o a un gruppo o a una cultura non più stabile, non più conosciuta.

“Mi manca mia figlia, vorrei portarla qui ma prima devo cercare un lavoro per me. Mia figlia vive con mia sorella da quando la madre è morta di una malattia allo stomaco. Spero che tra qualche anno riesca a venire e vivere con me e che si ricordi che io sono il suo papà”

Gli stranieri che arrivano in Italia devono ricostruirsi da zero, hanno bisogno di aiuto, di iniziative come quelle degli sportelli psicologici e legali. Un percorso che consente di canalizzare le emozioni, arricchendosi, al contempo, della curiosità verso gli aspetti della nuova cultura. Uno spazio dove si può rielaborare l’approccio verso una nuova condizione e superare il trauma della migrazione.

(Natalia I. C. Demagistre – NuoveRadici.world)

nuove radici
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