Interrogativi sulla riapertura dei confini Kenya-Somalia

di claudia
muro kenya somalia

Kenya e la Somalia hanno concordato di riaprire tre valichi di frontiera, rimasti chiusi per oltre un decennio a causa dell’insicurezza causata dal gruppo terroristico somalo al-Shabaab. Tuttavia, la decisione di Nairobi e Mogadiscio alimenta lunghi dibattiti sulla stampa locale circa l’incertezza che i benefici derivanti dall’aumento del commercio e della circolazione delle persone tra i due Paesi supereranno i rischi di insicurezza.

In effetti, nonostante l’accordo per la ripresa della libera circolazione delle merci sia soggetto all’approvazione di Etiopia e Regno Unito – gli altri due Paesi coinvolti nei colloqui -, si prevede che la riapertura dei valichi di frontiera di Mandera/Belet Hawo (Belethawa), Liboi-Harhar/Dhobley e Kiunga/Ras Kamboni aumenterà il flusso di persone e capitali tra il Kenya e la Somalia.

La chiusura dei punti di confine tra Kenya e Somalia risale al 2011 sotto l’amministrazione del defunto presidente keniano Mwai Kibaki, a seguito di una serie di attacchi di al-Shabaab. Il successore di Kibaki, l’attuale presidente Uhuru Kenyatta, ha poi rafforzato la chiusura nel 2019, vietando il commercio transfrontaliero tra i due Paesi in aree come Kiunga, nella contea di Lamu, a seguito delle crescenti incursioni del gruppo terroristico nella regione costiera. Tali sviluppi hanno influenzato il commercio tra i due Paesi, con le esportazioni del Kenya in Somalia che sono scese da un massimo di quasi 145 milioni di dollari nel 2017 a poco più di 85 milioni di dollari nel 2019, secondo le statistiche ufficiali. Anche le importazioni dalla Somalia sono scese da circa 7 milioni di dollari nel 2018 a 700.000 dollari l’anno scorso. I rapporti del Kenya National Bureau of Statistics (Knbs) mostrano tuttavia che le esportazioni dal Kenya alla Somalia, che comprende principalmente tabacco arrotolato, patate, cipolle, lattuga, pomodori, tè, sapone ed estratto di malto, sono aumentate a oltre 110 milioni di dollari l’anno scorso.

Anche i rifugiati in Kenya in provenienza dalla Somalia sono aumentati negli ultimi anni, toccando un picco di 288.648 lo scorso anno. La maggior parte dei rifugiati in Kenya proviene dal Paese devastato dalla guerra, seguito dal Sud Sudan e dalla Repubblica Democratica del Congo.

Nell’aprile 2014, i militanti di al-Shabaab hanno ucciso 148 persone al Garissa University College in un assedio di quindici ore, durante il quale uomini armati hanno tenuto in ostaggio più di 700 studenti, superando il raid nel centro commerciale del 2013 come l’attacco più mortale del gruppo militante nel Paese. Dopo questi episodi, l’amministrazione keniana aveva ordinato la chiusura del campo profughi di Daadab, sostenendo che ospitava cellule terroristiche. Per giunta, il Kenya è uno dei principali contributori di truppe all’operazione militare dell’Unione Africana in suolo somalo contro al-Shabaab.

Ma oltre all’insicurezza, il divieto imposto al commercio transfrontaliero mirava ad affrontare la minaccia del contrabbando, anche se alcuni analisti indicano proprio la chiusura dei punti di ingresso ufficiali come principale causa del flusso illegale di persone, armi e merci attraverso i confini. Secondo numerosi osservatori, se l’accordo non sarà ben strutturato, con i beni provenienti dalla Somalia adeguatamente registrati o regolamentati, potrebbe esserci un aumento dei casi di contrabbando, scatenando conseguenti reazioni da altri Paesi dell’Africa orientale.

Inoltre, dal punto di vista geopolitico, anche se sembra ormai lontano l’anno 2020 in cui la Somalia aveva interrotto le relazioni diplomatiche per condannare la decisione keniana di ospitare la leadership politica del Somaliland – una regione separatista non riconosciuta dal governo centrale di Mogadiscio -, Kenya e Somalia devono ancora risolvere la loro divergenza marittima dopo che Mogadiscio ha chiesto una revisione del confine marittimo in quello che potrebbe alterare il territorio oceanico per entrambi i Paesi. Il Kenya e la Somalia condividono un confine terrestre di 680 chilometri e da anni sono arenati in una lunga disputa su una parte dell’Oceano Indiano potenzialmente ricca di petrolio e gas. Nonostante la Corte internazionale di giustizia dell’Aia si sia finalmente pronunciata nell’ottobre 2021 a favore della Somalia, il Kenya continua a respingere il verdetto. 

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