Gioia e bellezza a Kibera

di claudia

Un fotografo cresciuto in uno slum di Nairobi svela al mondo l’inattesa vitalità e creatività che si cela tra fango e lamiere. Da sette anni il giovane Brian Otieno pubblica ogni giorno sul suo blog straordinarie fotografie di Kibera, la “sua” baraccopoli, mostrando aspetti inediti di un luogo che nell’immaginario collettivo evoca solo brutte immagini

di Marco Trovato – foto di Brian Otieno

La ballerina in tutù rosa vola leggiadra come una farfalla tra la fanghiglia e le catapecchie coperte di ruggine. Le scarpette da danza classica che le fasciano i piedi accarezzano – senza sprofondarvi – i vicoli limacciosi della baraccopoli. «Si chiama Elsie, è una forza della natura emersa dallo slum come un prodigio», commenta Brian Otieno, 27 anni, keniano, fotografo. «È grazie a lei che sono diventato famoso nel mondo. Quella fotografia è stata pubblicata sui più importanti magazine internazionali ed è stata premiata in concorsi prestigiosi».

Luogo simbolo di ogni male

Sono ormai sette anni che Brian pubblica quotidianamente sul suo blog KiberaStories sorprendenti fotografie della bidonville di Nairobi in cui è nato e cresciuto, rivelando lati meravigliosi di un luogo ordinariamente associato al brutto. Kibera è un’enorme città di lamiere, enclave della capitale keniana, simbolo degli inferni metropolitani dell’Africa, popolata da una schiera di poveri che nessun censimento riesce a contare (le stime oscillano fra i trecentomila abitanti e il milione). Miriadi di persone vivono ammassate in fragili baracche dai tetti di latta ondulata e i pavimenti di cartone. Fogne a cielo aperto scorrono a pochi centimetri dalle abitazioni, prive di servizi igienici e rubinetti. Nei liquidi maleodoranti sguazzano i topi. Le strade sono piene di sporcizia e sacchetti di plastica. Cavi volanti penzolano dai pali della luce dove si aggrovigliano gli allacciamenti abusivi alla rete elettrica. Le donne fanno la fila alle rare fontane pubbliche per riempire taniche d’acqua che ogni giorno si caricano sulla testa.

Qui, rispetto alla media nazionale, un cittadino ha il 50% in più di possibilità di contrarre una malattia letale, il 70% in più di subire una rapina, il 90% in più di percepire un reddito sotto la soglia di povertà (2 dollari al giorno). Eppure Kibera è molto più di un condensato di problemi e di fallimenti urbani.

«Delusione Google»

«L’idea di aprire un blog mi è venuta un giorno mentre cercavo delle immagini di Kibera su Google – racconta Brian Otieno, che ha iniziato per passione, giovanissimo, a scattare foto con il suo cellulare –. Mi sono ben presto reso conto che in rete c’erano solo foto di miseria, disperazione, violenza, malattie. Eppure la realtà che vedevo attorno a me era diversa: più complessa, variegata, interessante. Ho così deciso di immortalare la vibrante quotidianità del mio mondo quotidiano e di condividerla con il resto del mondo».

Con i suoi scatti, Brian ha cominciato a raccontare ciò che i reporter occidentali non vedevano o comunque non mostravano: la vitalità e la gioia dello slum. Senza edulcorare la realtà, senza nascondere i problemi, senza celare il disagio, ha puntato il suo obiettivo su soggetti inediti: raffinati ricevimenti nuziali, appassionanti match di pugilato, allegre feste di compleanno, colorate sfilate di moda, accalorate cerimonie religiose, affollati teatri di strada. Squarciando il velo degli stereotipi, Brian mostra gli invisibili di Kibera: giovani pieni di talento, artisti poliedrici, imprenditori geniali, sportivi promettenti, donne e uomini assettati di riscatto. Gli studi universitari di giornalismo lo hanno spinto a muoversi con il piglio del fotoreporter: sempre in movimento, sulla strada, in cerca di notizie, di persone e storie da raccontare con uno scatto.

Successo mondiale

«Kibera è piena di problemi e tormenti, ma anche di vita e di speranza – assicura –. Esserci cresciuto mi è di aiuto. Da me la gente si lascia fotografare, in genere, senza problemi. Anzi, spesso mi chiede di inserire nel mio blog un ritratto personale o una festa in famiglia. Ci tiene a mostrarsi, ostentare sorrisi e bei vestiti. E quando succede qualcosa di importante, per esempio lo scoppio di un incendio nel cuore della baraccopoli, vengono a chiamarmi di immortalare l’evento».

Le sue immagini, fresche e sorprendenti, hanno ben presto catturato migliaia di estimatori. Il suo profilo Instagram kiberastories ha superato i quindicimila follower. «Con il ricavato della vendita online delle prime foto ho potuto permettermi una vera reflex digitale – racconta con una punta di orgoglio –. La passione per la fotografia è diventata una vera professione quando ho iniziato a essere conosciuto all’estero». Le sue foto sono finite su New York Times, National Geographic, Der Spiegel, Al Jazeera, Bbc. Una sua mostra personale ha girato da Parigi a a Berlino, da New York a Lisbona. L’affermazione ai più importanti concorsi fotogiornalistici, come il World Press Photo e il Reuters Photojournalism Grant, ne ha consacrato la fama internazionale. E presto potrebbe vedere la luce un volume fotografico.

Fonte di ispirazione

Oggi Brian non vive più a Kibera. Si è potuto permettere una vera casa in un quartiere residenziale, ma ritorna nello slum ogni giorno, per lavoro e per passione. Ed è diventato fonte di ispirazione per tanti giovani della baraccopoli che accarezzano il sogno di ottenere lo stesso successo. «Lo slum contiene un eccezionale potenziale umano non valorizzato. Ho fotografato e incontrato innumerevoli persone con talenti e abilità unici. Ma ho anche capito che i poveri non sono tutti uguali». Ci sono sfruttatori e disperati, geni e approfittatori. «Ciascuno è padrone della propria vita. La differenza la fanno i valori e le capacità degli individui». Tutto sta cambiando molto in fretta, anche negli slum. «Oggi la globalizzazione e la digitalizzazione tendono a uniformare tutto. Ci sono tante opportunità in più rispetto al passato, ma anche rischi di omologazione. Tuttavia sono fiducioso nel futuro. La gente dello slum sta usando la tecnologia per emanciparsi ma anche per promuovere lo sviluppo delle proprie comunità».

La pandemia di coronavirus, con le disposizioni anticontagio imposte dalle autorità, ha messo a dura prova la resilienza della gente e la coesione sociale, «ma sulla frustrazione ha prevalso il senso di responsabilità e di collaborazione». Oggi Brian sta pensando di volgere il suo sguardo su altri slum di Nairobi per raccontare altre periferie dimenticate, senza smarrire lo stile inconfondibile che lo ha reso famoso e che ha imparato crescendo nello slum. «Kibera è un buon posto in cui crescere – afferma senza esitazioni –. Certo è un posto duro e talvolta feroce, ma offre innumerevoli stimoli e motivazioni per migliorarsi e battersi. Ogni bambino che nasce qui sogna di poter vivere in una casa di mattoni e non di lamiera. E fa di tutto per coronare il suo sogno. Per questo Kibera può essere considerata un’eccezionale palestra di vita. Uscendo di lì, sai di poter realizzare qualsiasi cosa».

Mr and Miss Kibera 2019

(Marco Trovato)

Questo articolo è uscito sul numero 6/2020 della rivista. Per acquistare una copia, clicca qui, o visita l’e-shop.

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