Cobalto e il lato oscuro della green economy

di AFRICA
cobalto

Il 70% del minerale usato per le batterie delle auto ecologiche e dei telefoni proviene dalla Repubblica democratica del Congo. Dove l’estrazione costa poco perché i diritti dei lavoratori sono inesistenti.

Uscito il 21 marzo in libreria La variabile africana (Egea, 2019, pp. 192, € 18,50) di Raffaele Masto, è un saggio sulle riserve naturali del continente e su quanto esse condizionino gli equilibri geopolitici. Ne pubblichiamo un estratto.

la variabile africana

Nella prima metà del XIX secolo Charles Goodyear inventò il processo di vulcanizzazione: portando il caucciù ad alte temperature con una aggiunta di zolfo si otteneva una materia relativamente elastica ma compatta, capace di deformarsi e di tornare alla sua forma originaria.

Di fatto, ai primi del Novecento re Leopoldo II del Belgio deteneva il monopolio del caucciù, dato che si era appropriato quasi totalmente del vasto territorio che costituisce il bacino idrografico del fiume Congo e che ospita la più grande foresta pluviale del mondo dopo quella amazzonica. Per soddisfare la crescente domanda europea di caucciù gli uomini del sovrano belga non esitarono a ridurre gli indigeni in schiavitù: sequestravano donne e bambini per costringere gli uomini a rispettare la consegna delle quantità necessarie e, come monito per gli altri raccoglitori, finirono per tagliare mani e piedi, o addirittura sterminare gli abitanti dei villaggi che non riuscivano a fornire abbastanza lattice. Il risultato furono migliaia di morti e di mutilazioni, fino a che un gruppo di giornalisti e diplomatici denunciarono quello che passò alla storia come un genocidio. Un genocidio che aveva aperto una nuova era, una svolta determinante per l’industria europea che fu in buona parte finanziata dall’Africa.

Materiale strategico

Oggi sta accadendo qualcosa di analogo. Il mondo è sul punto di passare dall’economia dei fossili – carbone, petrolio, gas – alla green economy, cioè un sistema fondato sulle energie rinnovabili o sull’elettricità. Il passaggio più evidente è quello all’alimentazione elettrica delle auto, a cui stanno lavorando tutte le grandi imprese del settore. Per esempio la Volkswagen punta a vendere tre milioni di auto elettriche entro il 2025. La Volvo ha comunicato che dal 2019 smetterà di produrre macchine alimentate solo a benzina o diesel. I governi di Gran Bretagna e Francia hanno assunto l’impegno a bandire la vendita di veicoli con motori a combustione dal 2040. Anche le compagnie petrolifere sono convinte che le auto elettriche porteranno al declino la domanda di greggio.

I giganti del business

Se si calcola che per realizzare la batteria di un’auto elettrica servono dai 4 ai 14 chilogrammi di cobalto (presente anche nelle batterie di telefoni, tablet e pc), si comprende perché il prezzo di questo minerale negli ultimi due anni sia decuplicato, arrivando a costare sul London Metal Exchange oltre 80.000 dollari a tonnellata.

A fare affari d’oro sono le grandi imprese mondiali del mining. La multinazionale Glencore è il principale estrattore di cobalto al mondo e controlla quasi un terzo delle forniture globali; pare che ogni incremento di un dollaro sul prezzo del materiale si traduca per la società anglosvizzera in 55 milioni di dollari di guadagno. Alle spalle della Glencore, nella corsa al cobalto sono impegnate imprese di tutto il mondo: la Panasonic, costruttore giapponese di batterie, l’americana Tesla, la svedese Northvolt, la tedesca Daimler, la canadese First Cobalt, l’australiana Pilbara Minerals, e anche Rosatom, l’azienda russa per l’energia nucleare. E ovviamente dietro ognuno di questi cartelli ci sono le economie nazionali. La Cina è il Paese più attivo e meglio posizionato e si è già accaparrata migliaia di tonnellate del metallo strategico per produrre batterie. La cinese Gem, società che si occupa di raffinazione e ha tra i suoi clienti aziende produttrici di batterie e automobili in tutto il mondo, ha sottoscritto un accordo con la Glencore per ottenere una fornitura triennale di cobalto di 52.800 tonnellate: siamo a oltre il 50% di quanto estratto nel 2017 nell’intero pianeta.

Del resto questo grande interesse della Cina è comprensibile, dato che è diventata in pochi anni il primo mercato mondiale per la vendita di autoveicoli e detiene anche il primato della vendita di auto elettriche, che ha superato il milione di pezzi. Gli obiettivi del governo sono ambiziosi: raggiungere i cinque milioni di vetture elettriche sulle strade entro il 2020.

cobalto

Scandalo congolese

Le quantità di cobalto necessarie per questa svolta sono infinite e la più grande riserva mondiale di questo metallo è la Repubblica democratica del Congo, la stessa regione che forniva il caucciù a Leopoldo II del Belgio. Nonostante considerevoli riserve di cobalto si trovino anche in Cina, Zambia, Russia e Australia, il 70% del cobalto utilizzato nel mondo proviene oggi dal Paese centrafricano, e il motivo è semplice: il cobalto congolese è il più conveniente perché i costi di produzione sono bassissimi.

In Congo non esistono miniere realmente organizzate, il metallo viene estratto da decine di siti occasionali che si trovano essenzialmente nella regione del Katanga, dove si stima che almeno 100.000 persone scavino a mani nude o con strumenti rudimentali, senza alcuna supervisione né misure di sicurezza. Tra questi minatori artigianali ci sono migliaia di bambini a partire dai sette anni – almeno 40.000 ragazzini secondo un rapporto di Human Rights Watch – che lavorano a 2 dollari per 12 ore al giorno. Morti e feriti sono frequenti, per non parlare dell’esposizione ai metalli, che fa insorgere problemi respiratori e altre malattie da inquinamento dell’aria e della terra.

Gli investimenti delle case automobilistiche nel settore dell’auto elettrica (previsti 100 miliardi di dollari, pari a 88 miliardi di euro) stanno trainando al rialzo la domanda di questo minerale e di conseguenza il suo prezzo è schizzato verso l’alto: raddoppiato in due anni. Il governo di Kinshasa ha triplicato le royalties che impone agli imprenditori minerari, tanto da arrivare a quasi il 10% del prezzo di vendita. Inoltre, ha deciso di mettere fine ai contratti di lunga durata con le grandi compagnie minerarie rinegoziandoli tutti. Le ricchezze però spariscono nelle tasche dei politici corrotti. E nelle miniere illegali decine di migliaia di schiavi congolesi rischiano la vita ogni giorno in nome di quella che ci ostiniamo a chiamare “green economy”.

(Raffaele Masto)

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