Awa Fall, la voce del reggae in Europa è afroitaliana

di claudia

L’Italia esporta la musica reggae con Awa Fall, 24 anni, italiana di origini senegalesi. La giovane cantante vanta una media di un centinaio di concerti all’anno in Europa. Ma sul suo Paese si dice combattuta, a causa della discriminazione discografica.

di Mariarosa Porcelli

Awa Fall costituisce un unicum sulla scena musicale europea. A soli 24 anni, infatti, la cantante italosenegalese nata e cresciuta a Bergamo in una famiglia tutta al femminile, è una stella del reggae. Dal suo metro e novanta di altezza svetta come un sound system, quel muro di casse del suono che affonda le radici nella cultura musicale giamaicana per diffondere vibrazioni positive nelle strade. Grinta e determinazione non le mancano, insieme a una voce che la porterà lontano. Il rischio, però, è che faccia un biglietto di sola andata perché come lei stessa ammette «Mi piace l’Italia ma tutto mi fa pensare che qui non ci sia posto per me».

Il viaggio in Africa

È nata e cresciuta a Bergamo con la mamma, la zia e la nonna, trascorrendo un’infanzia serena in cui non le è mancato nulla, nonostante qualche difficoltà economica. È dovuta arrivare alla maggiore età perché riuscisse ad andare alla scoperta delle origini senegalesi ereditate dal padre. «A 18 anni sono andata da sola in Senegal alla ricerca delle mie radici. Posso dire che è stato il viaggio della vita e ogni volta che ne parlo mi viene la pelle d’oca». Suo padre ha costruito un’altra famiglia in Africa, dando ad Awa altri tre fratelli, oltre a quello italiano da parte di madre. «In Senegal uno dei miei fratelli mi ha aiutato con il wolof e il francese, facendo da mediatore con i miei nonni, che finalmente ho potuto abbracciare per la prima volta. Ho vissuto questa esperienza senza paura, pronta a ricevere quello che sarebbe successo. È stato tassello importante».

Le vibrazioni positive di Awa Fall

Si fatica a crederci ma Awa Fall sostiene di essere stata una ragazzina molto timida, totalmente chiusa nella sua comfort zone: «Mi ricordo che addirittura non uscivo dal cortile. Però ho scoperto l’arma del coraggio grazie alla mia passione per la musica e ho fatto della mia debolezza un punto di forza». I primi passi sui palchi li ha mossi appena quattordicenne con la zia Valentina, anche lei musicista, praticamente una sorella maggiore che le ha fatto da mentore. A un certo punto hanno anche messo su un duo chiamato Shame Scandal ma poi ognuna ha preso la sua strada. «Da quel primo concerto con Valentina non ho più smesso. In famiglia si è sempre ascoltata la musica e poi a Bergamo c’è una scena musicale interessante, che dà spazio a chi ha origini straniere come me».

Il reggae come denuncia sociale

L’imprinting musicale di Awa Fall ha il ritmo delle canzoni di Bob Marley. Anche se ultimamente si sta cimentando con altri generi della black music, sperimentando anche testi in italiano (complice un amore incondizionato per Tiziano Ferro), la sua identità appartiene senza dubbio alla cultura reggae.

“In un primo momento sono stata affascinata dalle melodie. Poi, quando ho iniziato a capire i testi in inglese, ho deciso che quella sarebbe stata la mia musica. Le mie canzoni sono di denuncia sociale. Si dice che l’ignoranza sia la causa di tutti i mali, e noi artisti abbiamo la responsabilità di comunicare qualcosa che i media e le istituzioni nascondono. Fare canzoni d’amore non è la mia priorità, il mio obiettivo è essere la voce del popolo”.

La discografia di Awa Fall è tutta da esplorare, con il cuore in mano e le gambe in pista. Dall’album di esordio scritto a 18 anni prima di andare in Senegal, che esprime la complessità di un viaggio tanto atteso e sofferto, al disco Music Unites, frutto dei mesi di lockdown per il Covid-19. «È un album a 360 gradi, che contiene sette canzoni di produttori diversi. Volevo superare il momento di solitudine creando una rete di musicisti, che hanno collaborato con dei featuring, come già avevamo iniziato a fare nel lavoro precedente Words of Wisdom».

Europa, music business e diversity

Non sono molte le artiste italiane che possono vantare una media di un centinaio di concerti all’anno in giro per l’Europa, in Francia, Inghilterra, Spagna, Ungheria, Polonia tra le varie tappe. Ma ora Awa Fall sta diventando più selettiva, riducendo le date. «Appena maggiorenne ho iniziato a viaggiare con il movimento dei rasta, lavorando con i sound system e facendo musica dub e reggae. Ho girato tanto l’Europa da sola però il rovescio della medaglia è che questa vita mi ha tagliata fuori dai circuiti tradizionali. Non ho un’amica, per dire, e questa cosa mi pesa ma la mia vita è così».

Le sue preferenze di ascolti personali si rifanno soprattutto ai grandi nomi degli anni Novanta come Radici nel cemento e Sud Sound System perché, dice, ormai la musica è solo un business che ruota intorno ai soldi e lei si sente di essere arrivata a un bivio. Colpa anche delle discriminazioni nella discografia italiana verso chi ha origini straniere. «Mi piace l’Italia ma sono combattuta. Penso alla Universal che si è lasciata sfuggire Tommy Kuti, unico artista nero dell’etichetta. C’è discriminazione nel panorama discografico italiano. Invece nel resto dell’Europa è un’altra cosa. In Germania, per esempio, organizzano una manifestazione di successo come l’Africa Festival. L’ultima volta che mi sono esibita lì avevo di fronte un pubblico di cinquemila persone».

(Mariarosa Porcelli – NuoveRadici.world)

nuove radici

Foto di apertura: Nicola Vallarella

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