Alle radici del conflitto in Sudan

di claudia

di Carol Simonetti –  – Centro studi AMIStaDeS

A seguito delle crescenti tensioni tra le due principali fazioni al potere, dal 15 aprile 2023 a Kharthoum, capitale del Sudan, è scoppiata una violenta lotta che vede protagoniste le Forze armate sudanesi (SAF), l’esercito sudanese ufficiale, e una forza paramilitare rivale, la Forze di supporto rapido (RSF). Il conflitto, che ormai imperversa da quasi due mesi, ha tutti i tratti di una guerra civile. I combattimenti si svolgono principalmente nei centri urbani, motivo per cui le Nazioni Unite stimano che almeno 730 persone siano morte e che 5.500 siano rimaste ferite dall’inizio degli scontri. Inoltre, sono più di 1,4 milioni i sudanesi sfollati a causa del conflitto. Ma come si è arrivati agli scontri di oggi?

Sin dalla sua indipendenza dalla Gran Bretagna e dall’Egitto nel 1956, il Sudan ha vissuto un conflitto interno perenne. Nel 1989, Omar al-Bashir salì al potere attraverso un colpo di stato militare che gli consentì di rimanerci per i successivi tre decenni. Durante il suo governo, il conflitto tra il nord e il sud del paese ha portato alla formazione di quello che dal 2011 è il paese più giovane al mondo: il Sud Sudan. La secessione ha provocato forti ripercussioni nell’economia nazionale poichè il Sudan ha perso risorse e entrate vitali. In questa cornice, i civili si sono riversati di massa nelle piazze chiedendo riforme economiche e la rimozione del presidente al-Bashir.

Le RSF sono state create da quest’ultimo principalmente per reprimere una ribellione in Darfur, iniziata più di venti anni fa a causa dell’emarginazione politica ed economica della popolazione locale da parte del governo centrale. Nel 2019 le RSF, guidate dall’ex signore della guerra Gen. Mohamed Hamdan Dagalo, noto come Hemedti, ha unito le forze con l’esercito sudanese guidato dal Gen. Abdel Fattah al-Burhan per rovesciare il leader al-Bashir, portando a un governo di condivisione del potere civile-militare. Questo tentativo è poi fallito e nel 2021 i militari e le RSF hanno usato il pretesto delle dispute politiche tra campi civili per prendere il pieno potere.

Il generale Mohamed Hamdan Dagalo (a sinistra), e il generale Abdel Fattah al-Burhan (al centro). Fonte: axios.com

Da allora il Paese è governato da un consiglio di generali guidato da due figure militari che vede al-Burhan come sovrano de facto del paese e Hemedti come vice di al-Burhan nel Consiglio del Governo. Seguirono negoziati su come integrare le RSF nelle SAF che causarono scontri a causa della mancanza di accordo su chi avrebbe esercitato il controllo finale. Grazie alle intense negoziazioni, si era recentemente arrivati vicini ad un accordo che avrebbe riportato il Sudan a un governo civile, ma le discussioni tra i due generali circa le modalità del processo di transizione hanno portato a crescenti tensioni sfociate in un vero e proprio conflitto il 15 aprile 2023.

15 aprile 2023

Gli scontri sono cominciati nella capitale Khartoum quando le RSF hanno attaccato il quartier generale dell’esercito di al-Burhan. Un accordo finale circa un piano sostenuto a livello internazionale per avviare una transizione che avrebbe portato alla formazione di un governo con partiti civili doveva essere firmato all’inizio di aprile, nel quarto anniversario del rovesciamento di al-Bashir. Entrambe le fazioni avrebbero dovuto cedere il potere ma due sono le questioni que si sono rivelate particolarmente controverse: la richiesta civile circa la supervisione delle forze armate e l’integrazione delle RSF nelle forze armate regolari.

L’11 aprile 2023, le forze delle RSF si sono schierate vicino alle città di Merowe e Khartoum iniziando la loro mobilitazione. Nei giorni successivi, le SAF hanno notato ridistribuzioni non coordinate di unità delle RSF verso infrastrutture ed edifici critici a Khartoum e in altre parti del paese, una mossa che al-Burhan definisce una mobilitazione illegale. Dall’altro lato, le RSF hanno accusato l’esercito di voler prendere il pieno potere e di aver organizzato un complotto. Dopo qualche giorno, il 15 aprile, le RSF hanno attaccato diverse basi delle forze armate sudanesi, tra cui l’Aeroporto di Kharthoum, rivendicandone il controllo. Da allora, ci sono stati scontri intensi tra le due fazioni: attacchi aerei, artiglieria e colpi di arma da fuoco sono stati segnalati in tutto il Sudan, inclusa la capitale. Gli scontri tra i due gruppi si sono verificati principalmente presso il Palazzo presidenziale e la residenza del generale al-Burhan. In risposta, le SAF hanno chiuso tutti gli aeroporti e condotto attacchi aerei sulle postazioni delle RSF. I ponti, le strade di Khartoum e lo spazio aereo del paese sono stati chiusi, nonchè le reti di telecomunicazione e i servizi internet. Le SAF hanno accusato le RSF di aver aggredito civili e di aver compiuto atti di saccheggio e incendi.

Entrambe le parti sono determinate a diferende i propri interessi e la speranza di intraprendere la strada della democrazia sembra quindi essere svanita. L’esercito ha etichettato le RSF come una forza ribelle e ne ha chiesto lo scioglimento, mentre Hemedti ha definito al-Burhan un criminale e lo ha accusato di aver provocato la distruzione del paese.

Nonostante l’accordo per un cessate il fuoco di sette giorni iniziato il 22 maggio 2023, gli scontri continuano in diverse località.

Le conseguenze degli scontri

Gli intensi scontri delle ultime settimane hanno ucciso centinaia di persone e ne hanno mandate migliaia in fuga, mentre i combattimenti in corso minacciano di destabilizzare l’intera regione. Ad oggi, secondo le Nazoni Unite, il numero dei civili costretti a lasciare le loro case, molte delle quali saccheggiate e bruciate, è salito a 1,4 milioni, di cui 1 milione sono sfollati interni e 400.000 hanno cercanto rifugio fuori dai confini nazionali riversandosi nei paesi limitrofi, in particolare in Egitto, Sud Sudan e Chad.

La violenza ha portato alla chiusura di quasi tutti ospedali, spesso oggetto di attacchi missilistici diretti da entrambe le parti, e a restrizioni di movimento ordinate dall’esercito in tutto il paese. Le strutture sanitarie rimaste aperte stanno esaurendo le scorte mediche, per cui i pazienti potrebbero non essere in grado di accedere alle cure di cui hanno bisogno.

Profonda è la preoccupazione per le donne e le ragazze sudanesi, dato il comune aumento della violenza di genere durante i conflitti. Infatti, secondo il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (UNFPA), sono in aumento le segnalazioni di violenza di genere, in particolare da parte di sfollati in fuga da uno stato all’altro, nonché un numero crescente di casi di violenza domestica. Le organizzazioni umanitarie continuano a lavorare ininterrottamente per fornire aiuti e assicurare la sicurezza del proprio personale.

Inoltre, le Nazioni Unite hanno segnalato una diffusa carenza di cibo, acqua, medicine e carburante. Di conseguenza, i prezzi dei beni di prima necessità sono aumentati dal 40 al 60 per cento nelle aree colpite dal conflitto, mentre i contanti e le scorte di base si stanno esaurendo in tutto il paese. Tutto questo va ad aggiungersi a una profonda crisi alimentare già esistente in Sudan, con 15,8 milioni di persone che soffrono la fame e quasi 4 milioni di donne e bambini che soffrono di malnutrizione acuta.

Nonostante gli inviti a cessare il fuoco si moltiplichino, soprattutto da parte dei paesi limitrofi che temono i contraccolpi che una guerra civile potrebbe avere sulla stabilità regionale, al momento non si intravedono spiragli di tregua.

Qual è la posta in gioco?

Fonte: dire.it

Il Sudan si trova in una regione relativamente instabile e la sua posizione strategica, insieme alla ricchezza agricola, hanno da sempre attratto giochi di potere che hanno ostacolato la transizione verso un governo a guida civile. In passato, gli stati confinanti con il Sudan sono stati colpiti da sconvolgimenti politici e conflitti, e le relazioni con l’Etiopia in particolare, sono state spesso tese a causa di questioni legate ai terreni agricoli contesi lungo il confine.

Gli attuali scontri menttono in gioco anche importanti dimensioni geopolitiche con varie potenze che si contendono l’influenza nel paese. L’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti hanno cercato di valutare la transizione dal governo di al-Bashir come un modo per ridurre l’influenza islamista e rafforzare la stabilità nella regione, investendo in diversi settori nel paese. Questi, insieme agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna, formano il “Quad” che, congiuntamente alle Nazioni Unite e all’Unione africana, ha sponsorizzato una transizione verso elezioni democratiche dopo il rovesciamento di al-Bashir. In seguito al colpo di stato del 2021, i sostegni finanziari sono stati sospesi ma gli sforzi per arrivare ad un governo civile sono moltiplicati. Inoltre, le potenze occidentali vedono con timore la creazione di una potenziale base navale russa sul Mar Rosso, verso la quale i leader militari sudanesi hanno espresso apertura.

I vari attori internazionali hanno chiesto un cessate il fuoco e un ritorno al dialogo, ma sono stati pochi i segni di compromesso da parte delle due fazioni, nonostante una tregua nei combattimenti che ha permesso di evacuare diplomatici e cittadini stranieri. Sebbene l’esercito sudanese disponga di risorse superiori, inclusa la potenza aerea, si pensa che le RSF si siano espanse tanto da raggiungere i 100.000 uomini. Inoltre, queste potrebbero chiedere il sostegno delle tribù della regione occidentale del Darfur, da cui sono emerse proprio dalle milizie che hanno combattuto a fianco delle forze governative per schiacciare i ribelli in una guerra che si è intensificata dopo il 2003.

La crescente crisi politica e umanitaria si affianca alla lunga crisi economica già presente nel paese. Circa un terzo della popolazione necessitava di aiuti prima dell’inizio dei combattimenti. In seguito agli scontri, questi dati sono destinati ad aumentare notevolmente complicando ulteriormente la situazione già drastica del paese.

Sitografia

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