Vincent Aka-Akesse, la lotta libera come riscatto

di claudia

Vincent Aka-Akesse è nato in un piccolo villaggio della Costa d’Avorio, da cui è partito per seguire la sua passione più grande: la lotta libera. Un sogno che sembrava impossibile, fino a quando ha capito che vincere non era l’unico obiettivo. Grazie al suo talento, alla disciplina e al coraggio Vincent è arrivato alle Olimpiadi. Oggi, la cosa che più gli sta a cuore è aiutare i ragazzini del suo villaggio ad allenarsi e imparare i valori che l’hanno accompagnato

di Angelo Ravasi

Nato in un villaggio sperduto della regione di N’zi Comoé in Costa d’avorio, poteva avere un futuro come tanti altri bambini hanno avuto: studiare, poi trovare un lavoro qualsiasi, oppure ritrovarsi in una strada, come spesso accade, ad arrangiarsi, arrancando per sopravvivere. La mamma e, in particolare, la nonna, hanno sempre messo come priorità la sua buona crescita. Volevano che studiasse e per questo hanno fatto sacrifici quasi impossibili per le loro condizioni economiche e lo hanno mandato ad Abidjan sin da piccolo nel quartiere di Abobo, poi a Treichiville. Ma Vincent Aka-Akesse aveva un pallino in testa: lo sport. Non come tanti ragazzi della sua età il calcio o il basket, all’inseguimento dei miti sportivi del suo Paese. No, lui ha iniziato con il karate e poi è passato alla lotta libera. Un professore di educazione fisica, francese, ne ha visto il talento e lo ha incoraggiato. La mamma, però, non era affatto d’accordo, non voleva che Vincent perdesse l’orizzonte dello studio, convinta come era, che solo studiando potesse avere un vero futuro. Invece, Vincent pur studiando sodo, ha anche coltivato la sua passione, la lotta libera, con successi sempre maggiori. Ma non ha mai smesso di studiare. Proprio grazie al suo talento sportivo ha ricevuto una borsa di studio per frequentare l’università in Francia. E, proprio lì, la sua carriera è decollata. Una carriera che gli ha fatto girare il mondo, diventando un olimpionico. Sono stati tre i giochi che lo hanno visto protagonista: Sidney, Atene e Pechino. Non ha vinto, ma si è fatto conoscere. Per lui, la medaglia più bella, quella d’oro, è stata partecipare, combattere, confrontarsi con altri atleti. Lui, arrivato da un villaggio sperduto della Costa d’Avorio. E, poi, è diventato dirigente della federazione internazionale della lotta libera.

Gli esordi

“La mia carriera sportiva – racconta – è cominciata con il karate. Mi allenavo con un maestro ivoriano. Ma è stato al liceo che ho incontrato la lotta. Il mio professore di educazione fisica mi ha incoraggiato. Non so cosa vedesse in me. Però da subito mi è piaciuto questo sport.  Non è stato facile. Combattere significa disciplina, coraggio, rispetto. Uno sport che ti aiuta a raggiungere un obiettivo. Tutti valori determinanti non solo per la lotta ma per la vita”. Da subito ha mostrato il suo talento. Gare su gare, campionati studenteschi. Le cose non sono andate bene da subito. Vincere lo puoi sperare, “ma bisogna sudare, allenarsi”. Dai campionati studenteschi, presto è approdato ai campionati ivoriani. Un salto. “Ho combattuto con gente dell’ovest, molto cattivi. Sono arrivato terzo al primo campionato. Non una sconfitta, ma da subito ho capito cosa significasse combattere con rigore e disciplina. Non mi sono dato per vinto. Finiti i campionati ivoriani ho detto agli altri ragazzi: l’anno prossimo vengo e vi batto tutti”. E così è stato. Nel 1994 è entrato nella squadra nazionale e, come dice lui, “è iniziato il percorso della sofferenza”. Soffrire per fare sport, quello che ami e ti dà tante soddisfazioni? Sembra proprio un ossimoro: soffrire per divertirsi. Per Vincent combattere è divertimento “Sì, una sofferenza. Vincevo tutto, e questo mi rendeva felice, ma quando c’erano le selezioni per partecipare a qualche torneo continentale, non venivo mai selezionato. Non capivo. Evidentemente non bastava vincere. Mi dicevano che dovevo scendere di categoria, passare dagli 85 ai 74 chili. Non so se fosse una scusa”.

La riscossa arriva nel 1995 con la partecipazione ai campionati africani in Zimbabwe, “ma non è andata bene”. A quelli di Tunisi, invece, “sono arrivato quinto, miglior risultato per la Costa d’Avorio di sempre. A Tunisi ho capito che la lotta poteva cambiarmi la vita, non sarebbe stato solo divertimento, un hobby come un altro”. La svolta vera arriva il 13 settembre del 1996 quando Aka approda a Nantes, per frequentare l’università. “Dopo Tunisi, l’ambasciata francese in Costa d’Avorio mi ha detto che c’era una borsa di studio per andare in Francia a studiare. Non riuscivo a realizzare cosa mi stava capitando. Un’opportunità straordinaria. Non ci credevo, troppo bello. La mamma, però, era ferma: devi studiare, non andare in Francia per combattere. Per me, invece, era una grande sfida: studiare e combattere. Mia madre non è mai stata d’accordo. Non capiva la straordinaria opportunità di poter studiare e praticare uno sport che amavo. Tanto che quando sono partito per la Francia non è venuta nemmeno in aeroporto”. Così Aka lascia il suo paese e alle olimpiadi di Sidney combatte per i colori della Costa d’Avorio. Non vince. “Sono stato battuto dai senegalesi, loro sono dei veri ossi duri”.

L’approdo in Francia

Nel 2002 lascia il suo Paese, piombato in una crisi tremenda, per approdare “nella città di Clermont-Ferrand, dove sono stato adottato. E qui ho cominciato a partecipare ai campionati francesi”. La federazione lo ha messo sotto osservazione, tanto che gli hanno offerto di combattere per loro: “Mi hanno proposto di entrare in nazionale con questa motivazione: hai battuto tutti i nostri campioni”. Alle olimpiadi di Atene e Pechino combatte per la Francia e nel 2009 diventa professore nella città che lo ha adottato ed entra nella Federazione internazionale con l’incarico di scoprire talenti, in Africa. A Tokyo accompagnerà una delegazione di quattro atleti: due ragazze, una del Camerun e una della Guinea Conakry, e due ragazzi della Guinea Bissau.

“Questo è il lavoro che mi ha affidato la federazione internazionale – conclude Aka – e sono contento di fare questo per i ragazzi dell’Africa. Ma quello che mi sta più a cuore è aiutare i ragazzi del mio villaggio ivoriano. Per loro ho costruito un’arena dove possono allenarsi e fare pratica. Sono in molti che si stanno dedicando a questa disciplina, dai più piccoli ai più grandi. Sarà anche ‘imitazione’: uno del loro villaggio è arrivato fino alle olimpiadi, ma va bene così perché con la lotta libera imparano valori fondamentali per la vita: disciplina, coraggio, rispetto, fair play e avere un obiettivo, valori non così scontati. I ‘miei’ ragazzi del villaggio, dopo le olimpiadi, li porterò tutti ad Abidjan per una grande kermesse di lotta libera”.

(Angelo Ravasi)

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