Verso una presenza permanente dell’Unione Africana nel G20

di claudia
unione africana G20

di Angelo Ferrari

Un seggio permanente in quanto Ua – e anche, perché no, al Consiglio di sicurezza Onu – aiuterebbe a far uscire l’Africa da un ruolo finora subalterno. E con effetti positivi pure per lo sviluppo dell’Area di libero scambio continentale nata due anni fa.

L’ipotesi di concedere un seggio nei consessi internazionali all’Unione Africana (Ua) si sta materializzando e potrebbe diventare concreta. Un seggio, per così dire, permanente, non solo da osservatore come spesso è capitato nei vari G20 o G7 che siano, dove di volta in volta veniva inviato qualche presidente africano o gli stessi esponenti dell’Ua. Formalizzare e concretizzare una presenza “permanente” avrebbe il significato di trasformare il continente africano in potenza che decide, non più, dunque, con un ruolo subalterno che di volta negozia con questo o quello Stato occidentale, ma protagonista del proprio futuro di fronte alle potenze internazionali. Tutto ciò sarebbe un cambio di paradigma perché porterebbe l’Africa a discutere, da pari, del proprio sviluppo sia economico sia politico e sociale, con l’Occidente sviluppato. Non è una cosa qualunque, sarebbe epocale. Non solo, darebbe slancio anche al Mercato di libero scambio dell’Africa (Afcfta) entrato in vigore nel gennaio del 2021 e sottoscritto e ratificato da quasi tutti i Paesi africani – fuori rimane solo l’Eritrea –, in particolare dalle principali economie del continente, come il Sudafrica, l’Algeria, l’Egitto, il Kenya e la Nigeria.

L’ipotesi sta dunque prendendo corpo e anche il cancelliere tedesco Olaf Scholz, proprio durante un suo viaggio a Nairobi in Kenya, ha impegnato Berlino a sostenere l’offerta all’Unione Africana di un seggio permanente al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. «La Germania sostiene gli sforzi per i seggi africani permanenti nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite», ha detto durante una conferenza stampa insieme al presidente keniano William Ruto, dopo un incontro per discutere dell’approfondimento dei legami tra i due Paesi: «Sosteniamo anche una sede formale per l’Unione Africana all’interno del G20».

La dichiarazione è un significativo impulso agli sforzi di lunga data del continente africano per una maggiore rappresentanza sulla scena internazionale. L’Africa ha a lungo sostenuto il suo diritto a ottenere due seggi permanenti nel Consiglio con potere di veto, sostenendo che l’attuale struttura è obsoleta, non rappresentativa della realtà geopolitica mondiale. L’Ua spinge da tempo per la riforma del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, sostenendo che l’Africa, con il suo miliardo e oltre di abitanti, merita una maggiore rappresentanza sulla scena politica globale, da pari e non più in una posizione di subalternità. 

Tutto ciò potrebbe avere riflessi anche più ampi sul Mercato di libero scambio africano dove dovrebbe prevalere la negoziazione multilaterale rispetto a quella bilaterale, ma per fare ciò è necessario che vi sia un interlocutore globale come può essere l’Unione Africana. 

L’istituzione dell’Afcfta potrebbe consentire un aumento di oltre il 50% degli scambi tra i Paesi del continente e avrà, anche, un effetto significativo sugli scambi tra l’Africa e il resto del mondo, con un aumento delle esportazioni del 29% e delle importazioni del 7%. Dati del Fondo monetario internazionale. E ciò può produrre un aumento di «oltre il 10%» del pil reale medio pro capite. 

Il Fondo monetario, tuttavia, sostiene che, perché l’area di libero scambio abbia un impatto significativo sulle economie, i Paesi africani dovranno, necessariamente, mettere in campo una serie di riforme economiche e politiche per sostenere il mercato unico. Non è sufficiente la riduzione delle barriere tariffarie e non tariffarie, se questa non è accompagnata da un miglioramento del clima imprenditoriale. Senza riforme, secondo il Fondo monetario, l’impatto dell’Area di libero scambio sarà minore: la semplice riduzione delle barriere, tariffarie o meno, consentirà agli scambi tra i Paesi africani di crescere solo del 15%, portando a un aumento dell’1,25% del pil reale medio pro capite. Per cogliere tutte le opportunità, «sarà necessario investire in capitale fisico e umano, creare un solido quadro macroeconomico e modernizzare il sistema di protezione sociale per sostenere i più vulnerabili durante la fase di transizione». Una Ua protagonista nei consessi internazionali e non più osservatrice può determinare un cambio di passo proprio sullo sviluppo reale del continente. 

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