Nel 2021 andranno in pensioni i tanto contestati accordi di Cotonou che hanno regolato i rapporti tra Unione Europea e i Paesi africani. Accordi che avrebbero dovuto ridurre la povertĆ e favorire lo sviluppo, ma che hanno clamorosamente fallito, facendo gli interessi del vecchio continente. Riusciremo ora a siglare una nuova partnership che sia davvero proficua per tutti?
Il 2021, per lāAfrica e i paesi dei Caribi e del Pacifico (Acp), potrebbe rappresentare il superamento degli Accordi di Cotonou, che definiscono le relazioni tra Unione europea e paesi dellāAcp, appunto. Lāaccordo – firmato a Cotonou in Benin il 23 giugno 2000 e che superava quello di LomĆ© – regola principalmente lāaiuto allo sviluppo, il commercio, gli investimenti internazionali, i diritti umani e il buon governo. Lāobiettivo primario, definito dallāarticolo una della convenzione recita: āLa riduzione ed infine lāeliminazione della povertĆ ā. I risultati, tuttavia, per il continente africano sono sotto gli occhi di tutti e non sono certo lusinghieri. Pochi obiettivi, infatti, sono stati raggiunti. Non solo. I paesi africani hanno spesso criticato e contestato gli accordi proprio perchĆ© definivano una relazione verticale e asimmetrica fra Europa e Africa. Le aere di libro scambio, fortemente volute dallāUnione europea, sono state oggetto di scontri e recriminazioni proprio perchĆ© andavano a favorire il partner sulla carta più forte, lāEuropa. Anche i risvolti sullo sviluppo agricolo sono stati scarsi, se non nulli. Eā più facile trovare prodotti a marchio europeo nei mercati africani, con prezzi inferiori rispetto a quelli nazionali, creando uno squilibrio che non favorisce lāimprenditorialitĆ locale.
LāUnione europea, inoltre, tende ad implementare la partnership multilaterale per frenare ā o tentare di farlo ā il nuovo attivismo britannico dopo lāuscita dallāUnione europea. Londra, infatti, tende a dare nuovo vigore al Commonwelth.Ā Unāipotesi allo studio, infatti, ĆØ quella di far convergere lo storicoĀ Department for International Development (Dfid) nel Foreign and Commonwealth Office. Ā Non a caso nel 2020 gli investimenti britannici in Africa si sono concentrati nella parte orientale del continente e lungo il Golfo di Guinea, regioni con gli Stati ex colonie britanniche, protettorati e territori occupati. Nello scorso anno sono stati siglati 19 trattati bilaterali, anche con paesi non ex colonie come il Gabon e lāAngola. Partner nuovi e vecchi.
Dal canto suo, lāAfrica vuole avere maggiore voce in capitolo, incidere di più nella difesa dei propri interessi. Lāentrata in vigore dellāarea di libero scambio ā AfCta – può rappresentare una forza per le negoziazioni, superando quelle bilaterali, dando impulso allāindustrializzazione dellāintero continente e riequilibrare le relazioni anche con lāUnione europea.

Se lāAccordo del 2000 aveva caratteristiche principalmente ācommercialiā, se pur sbilanciate a favore dellāEuropa, la revisione, giĆ in parte negoziata nel 2020, anche se con notevoli difficoltĆ ā i vertici previsti tra Ue e Paesi africani sono saltati a causa della pandemia di coronavirus e per divergenze di āvisioneā degli interlocutori ā spinge su temi, anche qui molto cari allāEuropa e meno allāAfrica. In particolare, lāUnione europea preme maggiormente per far prevalere i suoi interessi: transizione verde e gestione delle migrazioni rispetto ai temi commerciali. Il tema della liberalizzazione commerciale, tanto enfatizzato nella convenzione del Duemila per lāUe può passare in secondo piano, anche se gli accordi di partenariato, tanto contestati, rimarranno in vigore.
Lāaccordo politico che si va delineando dovrebbe, secondo la logica della Ue, ridefinire le relazioni tra il vecchio continente e lāAfrica, rilanciandole. Lāagenda imposta dallāUe, tuttavia, fa soprattutto leva sulle migrazioni e la mobilitĆ . Ed ĆØ proprio su questi temi che le divergenze sono enormi. Uno dei temi principali di scontro rimane quello degli accordi su rimpatri più stringenti, rafforzando le intese precedenti. Gli strumenti normativi sono in fase di negoziazione ma, su questo tema e su altri, lāUe dovrĆ riconoscere le legittime aspettative dei paesi africani che tendono a rendere meno asimmetrica e verticista la relazione con il continente africano. Occorre, inoltre, sottolineare, che i paesi nordafricani sono esclusi dalle negoziazioni.
Unāaltra novitĆ significativa ĆØ lāassenza di riferimenti alle risorse finanziarie – come annota Luca Barana su Affarinternazionali.it – che dovrebbero sostenere lāimplementazione dellāaccordo e, in particolare, la mancanza di qualsiasi riferimento alĀ Fondo europeo di sviluppo (Fes). Il Fes ĆØ stato a lungo la principale fonte di finanziamento della cooperazione allo sviluppo Ue, in particolare in Africa, ed era strettamente collegato allāAccordo di Cotonou, rimanendo al di fuori del bilancio dellāUe. La sua mancata inclusione, per il momento, nellāaccordo post-Cotonou ĆØ legata alla scelta diĀ includere per la prima volta il Fes nel Quadro finanziarioĀ pluriennale, il bilancio dellāUnione per il periodo 2021-2027.
Pochi giorni dopo lāaccordo sul post-Cotonou, ĆØ anche arrivata lāintesa fra Consiglio e Parlamento europeo sul nuovo strumento per il Vicinato, lo Sviluppo e la Cooperazione internazionale (Ndci) daĀ 70,8 miliardi di euro, che ā inserito allāinterno del bilancio settennale ā finanzierĆ anche la cooperazione con i paesi Acp.
Lāaccordo politico, anche se con fatica e con non pochi attriti, in particolare tra Ue e Ua, ĆØ stato raggiunto. Il nuovo partenariato, dunque, sostituirĆ gli Accordi di Cotonou ā che rimarranno in vigore fino al novembre del 2021 ā ma prima dovrĆ essere approvato, firmato e ratificato dalle parti in causa. Se ne parla a novembre, salvo accelerazioni improvvise.
(Angelo Ravasi)