Uganda, quell’oleodotto non s’ha da fare

di claudia

Di Federico Pani –  Centro studi AMIStaDeS

Il progetto di un oleodotto in grado di collegare i giacimenti dell’Uganda con le coste della Tanzania ha finalmente ricevuto il via libera. L’investimento però suscita molte perplessità tra gli ugandesi che temono per la salvaguardia del loro ambiente.

Il progetto per l’oleodotto più lungo al mondo

Il progetto di quello che potrebbe diventare l’oleodotto più lungo del mondo sta per partire. L’East african crude oil pipeline, questo il nome della struttura, si snoderà dalle sponde del Lago Alberto fino alle coste della Tanzania. Il 1º febbraio scorso la TotalEnergies, la compagnia petrolifera francese che gestisce il giacimento di Tilenga, la China National Offshore Oil Corporation Ltd (Cnooc), l’azienda di Stato cinese che amministra quello di Kingfischer, ed i loro soci hanno annunciato la decisione di procedere con l’investimento, tappa finale prima di dare inizio ai lavori. L’oleodotto avrà la sua origine dalla città di Hoima, nei pressi del Lago Alberto, dove è stato scoperto un giacimento da 1,7 miliardi di barili di greggio. Una volta completato l’oleodotto sarà in grado di trasportare circa sessantamila barili di petrolio in Tanzania al giorno.

Il primo via libera per la realizzazione dell’opera era giunto già nel 2006, quando l’Uganda scoprì le riserve di greggio nel bacino nella parte occidentale del Paese, vicino al confine con la Repubblica Democratica del Congo, ma il progetto si arenò per il lungo braccio di ferro che caratterizzò governo e aziende, incentrato prevalentemente sulle questioni fiscali e sulla costruzione di una raffineria. La pandemia di Covid-19 causò, successivamente, ulteriori ritardi.
La popolazione sembra non essere d’accordo per la realizzazione dell’opera in quanto circa duemila famiglie verranno costrette ad abbandonare le proprie case e si stima che almeno altre ventimila subiranno ripercussioni dirette nella loro vita. Le proteste avevano indotto le autorità ugandesi a sospendere l’African institute for energy governance, un’organizzazione no-profit che sosteneva le azioni legali contro la TotalEnergies.

Il percorso dell’oleodotto si snoderà attraverso mezzo continente, incontrando nel suo cammino anche il parco nazionale di Murchison Falls, ovvero la più grande area protetta del Paese, finendo poi per approdare a Tanga, ovvero nel secondo porto più grande della Tanzania, dove il petrolio finirà per essere imbarcato sulle navi cargo.

La protesta delle ong

Ben 262 organizzazioni non governative (ONG) di tutto il mondo hanno esortato gli amministratori delegati di 25 banche a non concedere i prestiti diretti a finanziare il gasdotto ed affermano che il progetto porrebbe in serio pericolo le comunità locali, le forniture idriche, le biodiversità non soltanto in Uganda e Tanzania ma anche nella Repubblica Democratica del Congo e in Kenya.

Una trentina sono quelle ONG, ugandesi, francesi e congolesi che si sono mobilitate per contestare il progetto, che, nell’intento di mobilitare l’opinione pubblica, hanno lanciato la campagna #StopEacop. La loro critica muove dal fatto che il percorso dell’oleodotto andrà a stravolgere inevitabilmente la vita di quelle famiglie africane che lungo gli oltre 1400 chilometri hanno sviluppato le loro attività agricole.

Gli attivisti ambientali affermano che il progetto pone seriamente a rischio la salvaguardia degli ambienti protetti, la protezione delle fonti d’acqua e le zone umide a causa delle emissioni di CO2 che derivano dalla combustione del petrolio.

Le organizzazioni hanno inoltre affermato che il progetto da 3,5 miliardi di dollari non rispetta i diritti delle comunità intorno al lago Albert, territorio ove si svolgeranno le trivellazioni petrolifere. Le contestazioni non son state gradite dalle autorità. Nel 2021, l’Africa Institute for Energy Governance, che fornisce supporto legale alle comunità colpite, ha subito due perquisizioni con l’accusa di operare senza licenza. Il direttore esecutivo della Ong, Dickens Kamugisha, ha affermato che gli attacchi si prefiguravano l’obiettivo di mettere a tacere l’Ong.

Le autorità ugandesi hanno ribadito il fatto che lo sviluppo potrà garantire al Paese un indotto di almeno 15 miliardi di dollari: circa la metà degli investimenti potrebbe finire nelle casse delle aziende locali. Anche le Nazioni Unite ritengono che nei prossimi trent’anni il petrolio farà incrementare le entrate dello Stato di un terzo. Il timore è che questi soldi potrebbero andare ad alimentare quella rete clientelare che ha ostacolato, di fatto, la crescita del Paese. Il presidente ugandese Yoweri Museveni avrà ottant’anni esatti quando l’oleodotto avrà acceso i motori ma la frustrazione della popolazione nei confronti dei suoi 36 anni ininterrotti di potere appare essere in forte aumento.

Le valutazioni delle entrate che deriverebbero dalla vendita del petrolio potrebbero finire per essere fortemente ridimensionate qualora i leader mondiali decidessero di ridurre l’utilizzo di combustibili fossili: lo stesso governo ugandese ha riconosciuto che nei prossimi decenni il riscaldamento globale e l’utilizzo di fonti di energia alternativa potrebbero costare al Paese il 3-4% del Pil ogni anno. Se le perforazioni dell’oleodotto andranno regolarmente avanti, le esportazioni di greggio ai mercati internazionali potranno avere inizio nel 2025.

Sitografia

https://www.reuters.com/article/amp/idUSKBN2B010V

https://www.stopeacop.net/

www.aa.com.tr/en/energy/international-relations/uganda-tanzania-sign-oil-pipeline-project-agreement/32405

www.voanews.com/amp/uganda-tanzania-finalize-terms-for-oil-drilling-and-pipeline-project/6423450.html

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