Sudafrica | Il razzismo “fa il gioco” del virus

di Stefania Ragusa

Quando il nemico è un virus contagioso, innalzare barriere serve veramente a poco. Lo ha capito perfettamente il Portogallo che, pochi giorni fa, ha votato una sorta di moratoria per gli immigrati presenti sul suo territorio: in regola o meno con il permesso di soggiorno, la priorità adesso è garantire a tutti cure e sicurezza. Ad altre latitudini, ahimé, sta prevalendo però un orientamento opposto. In Sudafrica, per esempio.
Pretoria è stato il primo Paese africano a decretare lo stato d’emergenza e a imporre il lockdown. La vita quotidiana è stata stravolta e “ristretta” praticamente da tutti i punti di vista, salvo uno: i maltrattamenti e le angherie rivolti agli immigrati sono continuati come prima, anche più di prima, e a discapito – come vedremo – della sicurezza nazionale.
Khangelani Moyo e Franzisca Zanker, ricercatori rispettivamente alla Wits University di Johannesburg e all’Arnold Bergstraesser Institute dell’Università di Friburgo, lo hanno evidenziato in un lungo intervento pubblicato da African Arguments.

Ancora un altro muro Come riportato da Al Jazeera e da altre testate, una delle prime misure annunciate dal governo per far fronte al Covid-19 è stata… la costruzione di una recinzione di 40 chilometri al confine con lo Zimbabwe. E questo nonostante i casi di contagio in Zimbabwe, in quel momento, si contassero sulle dita di una mano e la diffusione del virus stesse avvenendo – come era evidente – a opera di persone provenienti in aereo dall’Europa.
Incurante dei dati di realtà, la ministra dei Lavori pubblici Patricia de Lille ha insistito sul fatto che la recinzione fosse necessaria per «garantire che nessuna persona priva di documenti o infetta attraversasse il Paese». Risorse importanti, che avrebbero potuto essere destinate alla sanità o al sostegno al reddito, sono quindi state deviate su un nuovo, improbabile muro di confine.

Lockdown su base etnica Con il pretesto della pandemia è stato giustificato un approccio sempre più repressivo e militarizzato nei confronti dei migranti, approccio visibile anche nell’attuazione del lockdown. Il governo aveva inizialmente annunciato che gli spaza, piccoli negozi dove è possibile acquistare cibo e altri generi di prima necessità, sarebbero rimasti aperti. Non tutti, però: solo quelli di proprietà e conduzione sudafricana. Quelli gestiti da stranieri, ossia la maggioranza, avrebbero dovuto chiudere. Per chiarire meglio il concetto, la polizia è intervenuta subito e con le maniere forti. A spiegare (si fa per dire) la ragione del trattamento differenziato è stato Khumbudzo Ntshavheni, ministro per lo Sviluppo delle Piccole Imprese: «Vogliamo essere sicuri della qualità del cibo e della sicurezza dei prodotti», ha dichiarato.
La decisione ha avuto una conseguenza importante: molti residenti delle municipalità hanno dovuto spostarsi per fare acquisti, aumentando così le probabilità di diffusione del virus. La situazione è diventata così paradossale che pochi giorni dopo, il 6 aprile, è stata emessa una nuova direttiva per consentire agli immigrati di ricominciare a vendere. Ma il danno ormai era già fatto.

Moratoria beffa per i rifugiati Per quanto riguarda i richiedenti asilo, sono stati prorogati di un mese i termini per la presentazione della domanda di rinnovo. Potrebbe sembrare una buona misura, si tratta invece di un provvedimento largamente inadeguato. Tre dei sei uffici di accoglienza per rifugiati sono chiusi, parzialmente o totalmente, dal 2011, nonostante il tribunale sia intervenuto varie volte ordinandone la riapertura. Secondo un audit del 2019, per smaltire il ritardo accumulato dalla commissione che si occupa dei ricorsi dei rifugiati, in queste condizioni, ci vorrebbero almeno 68 anni (sic!). I richiedenti asilo in Sudafrica sono costretti a navigare in una burocrazia onerosa e disfunzionale già in tempi normali: la proroga di un mese, durante la pandemia, assomiglia a una presa in giro. Tanto più che arriva in un Paese in cui solo pochi mesi fa, a gennaio, è stata approvata una legge che proibisce a richiedenti asilo e rifugiati di prendere parte a qualsiasi attività politica.

Conclusione Di fronte a questi “fatti”, la posizione di Moyo e Zanker è netta: «Se il Sudafrica vuole davvero affrontare il coronavirus, la risposta del governo deve essere inclusiva per tutte le persone che vivono nel Paese, indipendentemente dai documenti in loro possesso. Le risorse devono essere impiegate dove serve, non deviate su progetti irrilevanti e opportunistici. E i legislatori devono coordinarsi con le loro controparti internazionali in tutta la regione, il continente e il mondo»».
Il problema è globale. Non servono altri muri.

(Stefania Ragusa)

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