Premio Reporter senza frontiere, tra i nominati anche giornalisti africani

di claudia

di Céline Camoin

Diversi giornalisti di Africa e Medio Oriente fanno parte dei 15 selezionati per i premi Rsf (Reporter senza frontiere) Awards 2022 che l’organizzazione per la libertà di stampa conferirà a Parigi il 12 dicembre prossimo.

Tra i nominati del premio “Impatto”, per l’Africa c’è il maliano Adama Dramé, direttore del settimanale d’inchiesta Le Sphinx. Indaga senza sosta sulla sorte di un suo giornalista, Birama Touré, scomparso una sera di gennaio 2016 a Bamako. Le indagini condotte insieme a Rsf hanno stabilito che il giornalista era stato arrestato, rapito, torturato e sicuramente ucciso in locali della sicurezza statale per essersi interessato troppo da vicino alle vicende di Karim Keita, figlio dell’ex presidente maliano spodestato da un colpo di stato in 2020. Karim Keita è fuggito in Costa d’Avorio ma ora è ricercato dal sistema giudiziario del suo paese dopo che gli è stato emesso un mandato di cattura. L’ex capo dei servizi segreti, il generale Moussa Diawara, è stato arrestato. Temendo per la propria vita, il giornalista è dovuto andare in esilio per continuare il suo lavoro investigativo e sperare un giorno di conoscere la verità sul suo collaboratore scomparso.

Per il premio dell’indipendenza, fanno parte dei nominati il giornalista marocchino Omar Radi (foto di apertura), in carcere dal 2020, e la collega liberiana Ettie K. Johnson Mbayo. Questa giornalista freelance ha rifiutato tutti i finanziamenti offerti dai funzionari governativi quando ha fondato, nel 2020, The Stage Media, un’organizzazione di verifica dei fatti e giornalismo investigativo. È una delle voci fondamentali dell’informazione in Liberia. Le sue indagini hanno documentato almeno sei scandali relativi ad affari politici, corruzione, diritti umani e questioni femminili. Radi, pluripremiato giornalista investigativo e attivista per i diritti umani, ha pubblicato articoli sull’appropriazione indebita di terreni pubblici da parte di speculatori. È anche all’origine del cosiddetto scandalo di corruzione dei “servitori di Stato” che ha colpito quasi un centinaio di persone, compresi alti funzionari, che avrebbero acquistato terreni pubblici per una frazione del loro valore di mercato. In un talk show del 2018, Radi ha nominato un alto funzionario della sicurezza e ha affermato che il ministero degli Interni ha ospitato “la più grande operazione di corruzione” mai vista in Marocco e “dovrebbe essere smantellata”. Prima di essere arrestato e perseguito per spionaggio e stupro, Radi era stato precedentemente detenuto, processato e condannato per un tweet, aveva visto il suo smartphone infettato da spyware e aveva subito un’amara campagna diffamatoria su siti Web.

Nella sezione Medio Oriente, per la categoria “coraggio”, è stato selezionato lo yemenita Mahmoud al-Otmi. Giornalista indipendente di al-Hodeïda, città portuale passata sotto il controllo degli Houthi, dal 2014 documenta per i media locali le violazioni dei diritti umani commesse dal gruppo ribelle. Nel 2018 ha fondato il sito web almmarsa.com ad Aden, dove si concentra sulle province occidentali dello Yemen, governate dagli Houthi. Molto presto ha ricevuto minacce di morte per telefono. Suo fratello è stato imprigionato l’anno successivo per rappresaglia e suo padre costretto a firmare un documento che lo rinnegava. Il 9 novembre 2021, mentre si recava in ospedale per il parto della moglie Rasha al-Harazi, lei stessa giornalista, la loro auto è esplosa. Ladonna è morta all’istante con il bambino. Mahmoud al-Otmi è stato gravemente ferito ma è sopravvissuto. Ora vive negli Emirati Arabi Uniti e continua il suo lavoro.

Nella stessa categoria troviamo la giornalista iraniana Narges Mohammadi. Regolarmente imprigionata negli ultimi 12 anni per la sua lotta per la libertà di stampa e i diritti umani, è un simbolo di coraggio. Anche in carcere continua a informare sulla terribile situazione dei detenuti, soprattutto delle donne. La sua vita è una lotta e Narges Mohammadi deve moltiplicare i sacrifici affinché la sua voce ci raggiunga. Sposata con un giornalista, Taghi Rahmani, ha due figli che non ha visto crescere: dal 2011 ha trascorso solo pochi mesi fuori dal carcere. Nonostante i suoi problemi cardiaci, ha ricevuto 154 frustate, tra altri maltrattamenti e torture. Ha pubblicato decine di articoli dal carcere e ha realizzato un documentario e scritto uno studio sulla “tortura bianca”, White Torture, basato su interviste a 16 detenuti.

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