Petrolio, l’Africa paga il mancato accordo di Doha

di Enrico Casale
pozzo petrolifero

pozzo petrolifero offshoreIl fallimento del vertice dell’Opec, che si è riunito nel fine settimana a Doha, nel Qatar, rischia di avere pesanti ricadute anche sui Paesi africani produttori di petrolio. Al vertice si discuteva di due ipotesi: un congelamento della produzione attuale di greggio o una diminuzione della produzione stessa. Nessuno dei due obiettivi è stato raggiunto a causa delle tensioni politiche, prima ancora che economiche, tra Arabia Saudita e Iran (Paesi avversari che si contendono la supremazia sul Medio Oriente). La mancata intesa farà sì che il prezzo dell’oro nero continuerà a scendere anche perché la domanda, a causa della crisi economica mondiale, sta stagnando, mentre l’offerta non cala.

L’industria petrolifera è il cardine dell’economia di molti Paesi africani. È grazie alle entrate del greggio che queste nazioni riescono a mantenere in equilibrio i conti. Ed è grazie alla distribuzione delle rendite del petrolio che molti politici (dittatori, ma anche leader democratici) si assicurano il consenso e riescono a mantenersi al potere.

La riduzione dei prezzi sta però rendendo difficili le cose alle leadership di queste nazioni. La mancanza di entrate li sta costringendo a tagliare le spese per garantire alle loro economie la possibilità di far fronte alle difficili condizioni economiche. Nonostante ciò, i bilanci ne risentono e sempre più spesso si ricorre a ulteriori tagli alla già magra spesa sociale.

Il caso della Nigeria è speciale. È il più grande produttore africano di gas e petrolio le cui rendite costituiscono l’80% delle entrate del Governo e il 95% della valuta estera. In questi mesi, il Governo ha annunciato tagli al bilancio ma, per evitare un tracollo delle finanze pubbliche, ha avviato partnership con Stati stranieri per poter finanziare i propri progetti di sviluppo.

L’Angola ha problemi simili. È il secondo più grande produttore di petrolio dell’Africa, ma i suoi vecchi giacimenti stanno cominciando a mostrare la loro età, mentre i nuovi progetti sono molto costosi e non possono essere finanziati con i prezzi del petrolio ai livelli attuali.

pompa di petrolio nel desertoAnche se non tutti i Paesi africani soffrono il calo.  Tanzania, Uganda e Kenya hanno, per esempio, registrato aumenti dei loro indici azionari rispettivamente del 27%, del 18% e del 16% (anno su anno) a fronte di un calo dei prezzi del petrolio, poiché hanno cercato di sviluppare economie non dipendenti dalle esportazioni di greggio, o almeno non ancora.

Molti produttori di petrolio africani si sono rivolti a istituti di credito internazionali per aiutare a salvare le loro economie. Anche se così facendo rischiano di aumentare un debito pubblico che, in molti casi, è già altissimo.  Alcuni esperti dicono che la situazione potrebbe tornare alla normalità entro la metà del 2017. Una parte importante dell’Africa lo spera.

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