L’atleta Caster Semenya vince la prima battaglia contro la “regola” del testosterone

di claudia

Caster Semenya, 32 anni, sudafricana, due volte campionessa olimpica degli 800 metri, ha vinto un’importante battaglia per i diritti. L’atleta era stata esclusa da alcune competizioni sportive per essersi rifiutata di assumere farmaci che riducessero il suo alto livello di testosterone, causato da una disfunzione genetica che le provoca l’iperandroginia. Per questo Semenya si era rivolta alla Corte europea dei diritti dell’uomo nel febbraio 2021 intentando una causa contro la corte suprema svizzera. Oggi è arrivata la sentenza: l’atleta “è stata discriminata“.

La campionessa olimpica Caster Semenya è stata discriminata dalla corte suprema svizzera, che si era pronunciata contro di lei sostenendo una decisione del Tribunale arbitrale dello sport, che aveva convalidato il regolamento dell’Organizzazione mondale di atletica leggera. La World Atheltics richiede ad atlete come Semenya che hanno naturalmente alti livelli di testosterone di abbassare i loro livelli ormonali attraverso l’intervento medico. La CEDU, Corte europea dei diritti dell’uomo, si è pronunciata oggi in merito alla vicenda.

Al centro la questione delicata del livello di testosterone che, nel caso di Semenya presenta valori alti, soffrendo l’atleta di iperandroginia. Semenya aveva fatto ricorso senza successo al Tas, contro la norma  della federazione internazionale di atletica leggera, World Athletics, la quale sostiene che alti livelli di testosterone in atleti come Semenya offre un vantaggio ingiusto nelle competizioni femminili, riporta l’agenzia Afp. L’organizzazione per questo ha inasprito le proprie regole nel corso degli anni, abbassando i livelli di testosterone ritenuti accettabili, norme che avevano portato all’esclusione Caster Semenya dalle competizioni.

La Corte si è espressa su un trattamento di discriminazione di cui l’atleta è stata vittima in quanto non ha potuto beneficiare di garanzie istituzionali e procedurali, si legge sul Corriere del Ticino.

Il caso di Semenya è molto complesso e l’atleta si è trovata più volte di fronte alla difficoltà dell’idoneità sportiva dal 2009, quando è scesa in pista per la prima volta.

Nonostante la vittoria di oggi, si tratta comunque di un risultato parziale. La questione rimane aperta: il risultato di oggi non significa ancora la certezza per Semenya di poter gareggiare a Parigi 2024 senza sottoporsi alle cure. La World Athletics ha commentato così la vicenda: “La nostra opinione rimane che i regolamenti DSD sono un mezzo necessario, ragionevole e proporzionato per proteggere la concorrenza leale nella categoria femminile”, si legge su Ansa.

Così come Semenya, anche le medaglie di bronzo e argento negli 800 alle Olimpiadi di Rio nel 2016, Francine Niyonsaba (Burundi) e Margaret Wambui (Kenya), sono state riconosciute atlete con iperandrogenismo.

«Le donne con variazioni di intersessualità hanno lo stesso diritto alla dignità e al controllo sui loro corpi delle altre donne; è profondamente deludente che il Tribunale arbitrale dello sport validi regole che sono in conflitto con gli standard internazionali sui diritti umani». Questa era stata la reazione nel 2019 di Liesl Gerntholtz, vicedirettrice esecutiva del Programma di Human Rights Watch e direttrice esecutiva della divisione Donne, quando ci fu l’annuncio che Tas aveva convalidato le regole della Iaaf, la Federazione internazionale di atletica leggera, sull’iperandrogenismo.

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