Il significato della danza dei Masai

di claudia

di Alberto Salza

Vi sveliamo come e perché i pastori dell’Africa orientale affrontano il ballo ritmico per l’iniziazione. Ben più di un’attrazione turistica, la celebre danza dei pastori masai è una competizione solenne di forza e abilità tra giovani guerrieri, un rituale estremo per il corpo e la mente, ma soprattutto un momento di grande valore identitario e di forte coesione sociale

Formate un cerchio. Solo i maschi, però. All’unisono, emettete una nota continua di bordone, prima grave e poi, in crescendo, verso l’acuto. Il ritmo lo date con emissioni di fiato pulsanti. Uno o due di voi vadano al centro. E che comincino saltare più in alto che possono, a gambe rigide, scattando solo sulle punte, molleggiando. Allora volate in sospensione, senza mai toccare terra con i talloni alla ricaduta. Più in alto! Espirate esplosivamente, in staccato! Continuate così, con la maggior grazia possibile, fino a raggiungere una sorta di trance agonistica. Il termine è corretto: l’agone, presso i bellicosi Achei, era competizione solenne di forza e abilità. Così è per l’adumu, il balzo ritmico per l’iniziazione dei guerrieri masai (chiamati morana) in tutta l’Africa orientale.

Protetta dall’Unesco

Contrariamente a quanto si scrive per i turisti, non è una danza. Adumu, infatti, in lingua maa significa “salto”. Danza si dice in molti modi, dal generico a-rany, che implica anche il canto (unica fonte sonora per le danze masai) fino allo specifico en-kipaata che si balla prima di una razzia. Un indovinello masai propone un ennesimo termine: «Toosho olcartula matamai? Cos’è mai quello scalpiccio che va in tondo?». «Osinkolio, la danza!». Qualsivoglia traduzione si voglia offrire, i salti dell’adumu sono i gradini per elevare un giovane al rango di potenziale uomo sposato, quello che gli antropologi si ostinano a chiamare “anziano”: niente a che fare con un qualche definito limite di età, ma una condizione che si ottiene con il superamento dei gradi necessari a divenire un uomo in grado di mantenere una famiglia.

Per un ragazzo masai, il passo definitivo per potersi sposare avviene durante l’eunoto, una cerimonia che si prepara in funzione di sequenza delle classi d’età, periodo dell’anno, situazione climatica e conseguente disponibilità di risorse (essenzialmente acqua, erba e bestiame). La sequenza dell’eunoto è iscritta dall’Unesco nella lista di salvaguardia urgente per l’Intangible Heritage.

Serengeti National Park, Tanzania

Fino alla trance

La descrizione dei vari rituali che compongono l’eunoto esula dal tema di questo articolo ma, prima che l’etnoshow si impossessasse dei Masai in versione stereotipata, l’adumu si svolgeva essenzialmente in tale cerimonia, in cui a contare era la classe di età, un meccanismo sociale che collega orizzontalmente tutti i membri maschi della coorte, indipendentemente dal sistema verticale dei clan.

A noi può apparire buffo che una gara di salto in alto possa causare nei partecipanti brividi, sudorazione eccessiva, tic facciali, ribaltamento delle pupille, tremiti incontrollabili e semi-perdita della coscienza, ma per un morana l’insuccesso nell’adumu significa il blocco della vita futura. Da quelle parti, la circoncisione è il momento top nell’esistenza di un maschio (vedi “L’arte – e la fatica – di diventare uomini”, Africa, 6/2019). Di conseguenza, tra iperventilazione e stress psicologico, il cervello e il sistema motorio vanno in tilt, anche se le alterazioni non raggiungono livelli elettrochimici tali da indurre il trance allucinatorio, come ho invece sperimentato tra i boscimani del Kalahari. A saltar basso, comunque, un giovane masai si rovina la reputazione. In un accampamento cerimoniale, un vecchio mi indicò un ragazzo che non ce la metteva tutta nell’adumu. Con disprezzo disse: «Non sarà mai buono a nulla. Non è che tema il coltello del circoncisore. Ha paura di tremare».

Più uniti di prima

Il “tremito” (em-boshona) è la manifestazione più appariscente dell’effetto adumu. Nella sua semplicità, si tratta di un rituale estremo per il corpo e la mente: gli esercizi e le danze di questo tipo si dimostrano essere una tecnologia sociale. Appare ovvio come le attività collettive incrementino la coesione di gruppo, soprattutto tra i pari per classe d’età, come i guerrieri, o condizione sociale (ascoltate gli slogan nei cortei). Gli studi sperimentali dimostrano che i motori principali verso un comune obiettivo di gruppo sono il comportamento sincronizzato e l’eccitazione fisiologica, esattamente le componenti base dell’adumu. In gruppo, danza, canto, ritmo, marcia si mantengono sincroni dopo un involontario aggiustamento dei comportamenti.

Per capire il potere della sincronizzazione rituale, pensate all’applauso a fine concerto, che parte da un singolo battimani per poi coordinarsi all’unisono da parte di tutti; oppure alla ola negli stadi, un’onda ritmica umana. I neuroscienziati sperimentali (alcuni hanno studiato anche i Masai) affermano che la sincronia incrementa le attitudini prosociali, come cooperazione, compassione, capacità d’aiuto, propensione all’amicizia, perlomeno in assenza di conflitti interni.

Ipnosi collettiva

La condivisione profonda dell’eccitazione fisiologica, dolore incluso, è una componente meno comune nei rituali collettivi, ma è di grande potenza. Per quel che riguarda i guerrieri masai, evocate il legame indissolubile, diverso e talvolta superiore all’amore, che si ha tra i sopravvissuti alle catastrofi, i mutilati, gli ex-combattenti, i “fratelli d’arme” di tutte le guerre più sanguinose.

Il sincronismo di salti, batter di mani, ritmica e mimica aumenta l’attenzione visiva e uditiva a partire dal cervello, producendo un’effervescenza collettiva verso la coesione e l’assistenza reciproca. Con i loro salti sincronizzati – e suoni e movimenti d’accompagnamento – i Masai attenuano progressivamente la linea tra il sé e gli altri.

Meccanismi analoghi sono prodotti dall’eccitazione collettiva, dove l’attenzione autocentrata (il balzo più alto e più bello del murrani) eccita verso la fusione con gli altri membri della cerimonia: è la chimica di base per l’altruismo reciproco, indispensabile per sopravvivere in ambienti ostili come le savane dei Masai. Ma i morana non sono soli: oltre gli anziani preposti a chiudere il rituale aspergendo tutti di sputacchi al latte e miele, partecipano anche le donne.

Danze seducenti

La notte finale dell’eunoto mi trovavo su un’altura. C’era luna piena. La luna e il suo calendario sono la via obbligata per le cerimonie dei pastori d’Africa. Nel buio, sentii un canto. Era un responsorio a toni acuti, con intervalli precisi. Poi, nell’argento lunare, apparve una massa danzante. Erano le ragazze. Venivano a lodare e a scegliere i guerrieri più valenti, i saltatori in alto da medaglia. Procedevano in gruppo, salmodiando. Poi, all’unisono, si accucciavano a terra in formazione di testuggine, come se partorissero (per i Masai, la circoncisione maschile equivale a una nuova nascita sotto forma di uomo completo). L’atto si ripeteva in sequenza: canto, danza, avvicinamento, acquattamento.

Al contrario dei guerrieri, nella danza le donne non devono mai staccare entrambi i piedi da terra, dalla Madre Terra. La scena era di una bellezza visiva e uditiva da sbalordire. Poi, guerrieri e ragazze si fusero in un insieme festoso. La mattina dopo, avvicinai un morana. «Maledette ragazze!», disse. «Vengono qui, si mettono a danzare, così i seni sollevano le loro collane di perline colorate. Se ti hanno appena reciso il prepuzio, l’eccitazione fa un male cane». Il rimedio? «Ci si butta sulle spine».

Questo articolo è uscito sul numero 1/2023 della rivista Africa. Per acquistare una copia, clicca qui, o visita l’e-shop

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