Covid-19 | Il Maghreb punta sulla clorochina

di Stefania Ragusa

Saad Eddine El Otmani, primo ministro marocchino, lo aveva preannunciato su twitter: ai pazienti Covid-19 nel suo Paese sarebbe stata somministrata l’idrossiclorochina, un antimalarico dotato di potere antinfiammatorio e usato abitualmente nel trattamento dell’artrite reumatoide e del Lupus Eritematoso Sistemico (Les).
Lunedì scorso, a distanza di poche ore, il ministro della Salute, Khaled Aït Taleb, ha ufficializzato la svolta: è stato autorizzato dunque l’uso ospedaliero di questa molecola e anche della clorochina per i malati di coronavirus. Il governo ha quindi requisito dallo stabilimento di Sanofi Maroc, a Casablanca, tutte le scorte disponibili di Nivaquine e Plaquenil, che sono i nomi commerciali dei due farmaci. Il colosso farmaceutico francese non si è ovviamente sottratto alla richiesta, ha precisato tuttavia in una comunicazione ufficiale che «il trattamento del virus Covid-19 non fa, ad oggi, parte delle indicazioni per la clorochina».
Algeria e Tunisia si stanno muovendo nella stessa direzione. La prima dispone, secondo le autorità, di uno stock già ampiamente sufficiente. Bekkat Berkani, presidente del Consiglio dell’Ordine dei Medici e membro del comitato scientifico per il monitoraggio e il follow-up dell’evoluzione dell’epidemia del coronavirus (Covid-19), ha annunciato martedì che il Ministero della Salute ha iniziato a testare il farmaco su alcuni casi gravi. In Tunisia è stato il direttore dell’assistenza sanitaria di base, Chokri Hamouda, a dare la comunicazione, il 24 marzo. Il Paese avrebbe già acquistato quantità significative di clorochina. In altri Paesi, non solo africani, il passo non è stato fatto ma si guarda con dichiarata speranza alla soluzione clorochina. E se ne parla, anche tra persone comuni e via social, con il rischio – come vedremo – che qualcuno decida di autoprescriversi la cura.
Clorochina e derivati sono tornati al centro del dibattito pubblico, in particolare dopo che sono stati resi noti gli esiti di una terapia sperimentale applicata dal virologo Didier Raoult all’Istituto ospedaliero universitario Méditerranée Infection di Marsiglia di cui è direttore. A partire dal 16 marzo Raoult ha somministrato 600 mg di idrossiclorochina al giorno, combinati con azitromicina (antibiotico della famiglia dei macrolidi) a un gruppo di pazienti affetti da Covid-19. Ebbene, a distanza di sei giorni il 75 per cento di loro si era negativizzato. Tra quelli non trattati la percentuale era appena del 10 per cento. Sulla scorta di questo risultato, il 23 marzo, il ministro della Sanità francese, Olivier Véran, ha autorizzato l’uso della clorochina negli ospedali, pur riservandolo ai casi più gravi.

Sulla questione la comunità scientifica però non è unanime. Critiche e preoccupazioni si concentrano in particolare intorno a tre elementi di criticità. Il primo riflette la posizione dell’Oms: i dati disponibili sono ancora troppo pochi per pronunciarsi con sicurezza rispetto all’efficacia terapeutica di queste molecole, usate da sole o in combinazione con altre. Il secondo è molto pratico e tocca le persone affette da artrite reumatoide e lupus: da quando è stata ventilata la possibilità che clorochina e idrossiclorochina servissero a curare il Covid-19, trovarle nelle farmacie è diventato sempre più difficile, con nocumento di molti malati cronici. Il terzo riguarda gli effetti collaterali delle terapie autogestite: idrossiclorochina e clorochina se non sono assunte correttamente possono causare problemi cardiaci letali. Non si tratta di un rischio ipotetico. È notizia di ieri la morte di un cittadino americano che aveva deciso di curarsi da sé con la clorochina. In Nigeria invece si registrano casi di intossicazione da clorochina già da qualche giorno, precisamente dalle improvvide dichiarazioni del presidente americano Donald Trump sulla presunta approvazione della molecola come farmaco anti-Covid da parte della Us Food and Drug Administration.

Ciò che si può affermare con sicurezza, in questo momento, è che tanto la clorochina quanto l’idrossiclorochina fanno parte del gruppo di sostanze che l’Oms sta passando al vaglio nella speranza di addivenire a una terapia che funzioni (nel gruppo dei farmaci sotto osservazione troviamo anche un nuovo antivirale chiamato remdesivir e una combinazione di due molecole usate per l’Hiv chiamate lopinavir e ritonavir). Sappiamo poi che la loro efficacia non dipenderebbe tanto dalla capacità di neutralizzare il virus quanto da quella di ridurre la spinta infettiva delle cellule malate. Last but not least, quando si tratta di medicina fare da sé può voler dire fare disastri per tre.

(Stefania Ragusa)

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