Rd Congo: caso Attanasio, a Kinshasa condanne all’ergastolo ma tanti i dubbi

di claudia
luca attanasio

Sono stati condannati all’ergastolo i sei imputati nel processo di Kinshasa per gli omicidi dell’ambasciatore italiano in Rd Congo, Luca Attanasio, del carabiniere Vittorio Iacovacci e dell’autista del Programma alimentare mondiale (Pam), Mustapha Milambo.

Il procedimento vede imputati cinque presunti membri del commando: Shimiyimana Prince Marco, Murwanashaka Mushahara André, Bahati Antoine Kiboko, Amidu Sembinja Babu detto Ombeni Samuel e Issa Seba Nyani. Il sesto, Ikunguhaye Mutaka Amos detto Uwidu Hayi Aspera, è stato giudicato in contumacia ed è attualmente latitante.

La tesi sposata dal tribunale militare è quella di un’esecuzione, ma i punti oscuri sono tanti e le stesse dinamiche processuali non sono state chiare. La famiglia dell’Ambasciatore si presentata come parte civile anche nel tentativo di avere accesso alle carte processuali. L’attacco avvenne il 22 febbraio 2021, poco più di due anni fa.

Un convoglio delle Nazioni unite partito da Goma, sulla riva settentrionale del Lago Kivu in Repubblica democratica del Congo (Rdc), fu assaltato da un gruppo di uomini armati. Una strada incerta, la fitta vegetazione tutto attorno, un’area poco sicura parzialmente sotto il controllo di ribelli e gruppi armati, numerose precedenti imboscate proprio in quella zona, proprio su quella strada, proprio contro le Nazioni unite.

Due dei testimoni oculari, entrambi funzionari del Programma alimentare mondiale facenti parte del convoglio sui cui racconti è stata ricostruita la dinamica dell’attacco, sono ad oggi indagati dalla procura di Roma per “omessa cautela” perché non avrebbero messo in campo le necessarie tutele volte a garantire l’incolumità dell’ambasciatore e del convoglio delle Nazioni unite su cui viaggiava, in un’area e lungo un percorso notoriamente pericolosi.

La collaborazione tra la procura di Roma, il dipartimento di sicurezza delle Nazioni unite e il Pam non è stata tuttavia sempre semplice e più volte i magistrati romani si sono scontrati con i silenzi interni e i rallentamenti dell’agenzia Onu.

Le indagini congolesi invece hanno prodotto arresti. Ma gli stessi arrestati avrebbero prima fatto delle ammissioni, ritrattando e denunciando poi torture.

A due anni di distanza da quella strage la situazione nelle province orientali della Repubblica democratica del Congo è sempre più critica e, con essa, lo stato dell’arte delle indagini sui responsabili. Il governo di Kinsahsa è costretto a fronteggiare la grave minaccia rappresentata da decine di gruppi armati, banditi, politicizzati o fanatici religiosi. Una minaccia che continua ad aumentare, nonostante i fatti di due anni fa e la presenza della missione dei caschi blu della Monusco.

Sono oltre 100 i gruppi armati attualmente attivi in Repubblica democratica del Congo: secondo il Kivu security tracker, una Ong che monitora la violenza nell’est della Rdc, le Forze democratiche alleate (Adf), le Forze democratiche per la liberazione del Ruanda (Fdlr), l’Alleanza dei patrioti per un Congo libero e sovrano (Apcls) e il Nduma defense of Congo-rénové (Ndc-R) sono responsabili per oltre un terzo degli incidenti nel Paese e della metà dei civili che vengono uccisi. E poi c’è il Codeco, che i servizi di sicurezza americani indicano essere la colonna dello Stato islamico nella zona dei Grandi laghi.

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