Mustapha, il primo migrante a diventare arbitro in Italia

di claudia
mustapha jawara

di Claudia Volonterio

Un sogno che sembrava impossibile e la determinazione per realizzarlo: da qui è iniziato il cammino di Mustapha Jawara, ventidue anni, originario del Gambia, più precisamente di Sanunding, un piccolo villaggio dove le prospettive sono poche per chi cresce senza i soldi necessari per un’istruzione privata. L’alternativa è andarsene, affrontando il pericolo del mare e l’inferno libico. Tanti non ce la fanno. Quella di Mustapha è però una storia a lieto fine: il giovane gambiano è il primo migrante a diventare arbitro effettivo dell’Associazione Italiana Arbitri.

Mustapha Jawara ha dato il fischio d’inizio alla sua vita in Italia, precisamente a Polla, comune di Vallo di Diano dove oggi indossa con orgoglio la maglia dell’arbitro, sognando al contempo di tornare nel continente per arbitrare la Coppa d’Africa. Un sogno ambizioso, forse, ma non impossibile se si guarda il percorso di questo giovane originario di Sanunding che ha raccontato la sua storia ad Avvanire, mostrando la cruda realtà che molti giovani come lui sono costretti ad affrontare, per cercare un futuro migliore in Europa.

A soli 14 anni se ne va, prima tappa: il Mali. Qui comincia a lavorare per mettere da parte i soldi per il viaggio. Procacciava clienti agli autisti per ottenere a fine giornata una misera porzione di riso e dieci centesimi di compenso. Non poteva andare avanti così a lungo. Ma non fu di certo quello il momento peggiore. In Libia vive la terribile esperienza della prigionia, cominciata già dal soffocante viaggio in auto, stipato con tante altre persone con il cuore pieno di angoscia e speranza come lui. Nel carcere ci rimane sei mesi. Nel barcone, dove ti imbarchi solo dopo aver pagato una somma spropositata, è riuscito a sopravvivere, ma non tutti ce la fanno: “Un ragazzo che era accanto a me in quella barca che era “gonfia” di uomini donne e bambini, non so se si è addormentato o si è sentito male, fatto sta che l’ho visto scivolare in acqua e non avevo la forza per riacciuffarlo – racconta Mustapha ad Avvenire – Stretti come sardine, non mi potevo muovere: ho guardato il pilota e quello con lo sguardo mi ha detto, “non possiamo farci niente”… Chissà quanti corpi ci sono laggiù, in fondo al mare?”

Sbarcato a Salerno con l’aiuto della Marina Militare, viene a conoscenza del corso per diventare arbitro da un operatore. Mustapha non ci poteva credere, quello era il suo sogno fin da piccolo, quando tutti i suoi coetanei sognavano di diventare calciatori guardando le partite alla televisione, mentre lui si immedesimava nella figura dell’arbitro, perché è lui che “guida la partita”.

Per ottenere grandi risultati ci vogliono tempo e tanto studio. Lo sa bene Mustapha che dal primo giorno in Italia si è messo a studiare anche la notte per poi superare al primo turno gli esami per diventare arbitro, impegnandosi inoltre per imparare l’italiano. L’anno scorso, il suo sogno si è avverato in occasione del Campionato esordienti di Palomonte.

In Gambia sono fieri di lui e il giovane non vede l’ora di tornare, magari per arbitrare la finale della Coppa d’Africa. Un “ritorno” che per una persona migrante che ha superato l’inferno ed è riuscito a costruirsi una nuova vita in Europa, rappresenta la vittoria più grande.

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