“Mobique”: la fabbrica-mobile fatta di container in Senegal

di claudia

Dopo dieci anni in Italia, Macoumba Thiam è tornato in Senegal con un progetto imprenditoriale che vuole modernizzare il sistema agricolo del Paese e offrire un modello di commercio equo e solidale. “Mobique” – una micro fabbrica per la lavorazione agricola- può arrivare ovunque, stimolando la creazione di nuove imprese. Intervista al fondatore

di Margherita De Gasperis – NuoveRadici.world

È possibile imprimere una svolta al sistema produttivo agricolo di stati come il Senegal? Con il supporto di Vitality Onlus ci prova Macoumba Thiam, co-fondatore di Mobique e Vitality onlus Senegal. Per Thiam è la conclusione di un cerchio migratorio completo, il ritorno di successo nel suo Paese di origine, a Thiès – dove nasce il primo Mobique -, dopo sette anni in Italia.

Mobique è un monoblocco attrezzato per l’essiccazione del mango, un container che ha al suo interno un intero ciclo produttivo, e soprattutto è mobile. Può quindi essere trasportato da un villaggio all’altro, stimolando la creazione di una microeconomia rurale, lontana dalle grandi città, polo attrattivo per gran parte dei lavoratori senegalesi

Il design di Mobique è nato all’interno di un gruppo di co-design, il frutto di un brainstorming multiculturale e nello specifico l’intuizione dell’imprenditore curdo Yahya Cete. Un progetto ambizioso di commercio equo e sostenibile, una rivoluzione agricola del ventunesimo secolo, che però si deve confrontare con difficoltà economiche e con un anno maledetto dalla pandemia. Vitality onlus ha lanciato una campagna di crowdfunding, che durerà dal 3 maggio al 3 giugno, per finanziarne la seconda fase. «I fondi verranno impiegati per la formazione specialistica degli operatori agricoli e per ottenere marchi di qualità, come il certificato bio e quello fairtrade”, spiega il presidente Matteo Matteini.

NuoveRadiciWorld ha intervistato Macoumba Thiam, il co-fondatore di Mobique.

Mobique rappresenta la fase conclusiva del suo percorso migratorio?

«Mobique è un modello di ritorno, un modo per dire ai giovani migranti che possono scegliere di tornare a casa e migliorare le cose. Serve per dimostrare che una volta espatriati devono inserirsi, assorbire la cultura ospitante, imparare e immagazzinare il più possibile. Altrimenti non è una migrazione formativa. Ho fondato anche Vitality onlus Senegal, insieme a trenta ragazzi anche loro tornati nel Paese».

Voglio promuovere il modello di community to community, valorizzare l’importanza di creare reti relazionali sia qui in Italia che nel Paese d’origine, costruire dei network innovativi. Senza di questo Mobique non sarebbe nato

Qual è la mission di Mobique?

«Modernizzare il sistema agricolo del Senegal. Ad oggi circa il 60% dei prodotti pregiati viene sprecato, lasciato a marcire o dato in pasto alle mucche. Non c’è una logistica adeguata per il commercio su larga scala, non ci sono strutture e magazzini per conservare i prodotti. Mobique si inserisce in questo contesto per migliorare la comunicazione territoriale, velocizzare la logistica e ridurre i tempi di lavorazione e vendita dei prodotti. L’idea è di trasportare in maniera agevole la fabbrica in quelle zone rurali da cui i giovani scappano per lavorare in città o all’estero, e stimolare microeconomie di sussistenza locali».

A partire dal mango essiccato…

«È il nostro prodotto di partenza. In Senegal viene prodotto in enormi quantità, soprattutto nella regione di Casamance, che da sola copre l’80% della produzione agricola senegalese. Eppure si stenta a cogliere le sue potenzialità di ricavo, spesso perché non si hanno i mezzi per conservarlo. Noi per esempio abbiamo puntato sull’essiccazione, per renderlo gustoso e facile da commerciare. Vogliamo pubblicizzare questo prodotto all’estero ma anche internamente. Sono gli stessi senegalesi a non conoscere il prodotto più coltivato del Paese».

In che modo offrite un modello di commercio equo e solidale?

«Quando in Italia pagate cinque euro per un mango, gran parte di quel ricavato non torna in Senegal. Ho incontrato produttori su larga scala che non riescono a sopravvivere, schiacciati dalla concorrenza. Noi puntiamo a un certificato di fairtrade che tuteli anche i nostri produttori, con una percentuale sul ricavo garantita. In più organizziamo corsi di formazione sulle normative europee che regolano il lavoro».

Costruiamo un ecosistema con condizioni lavorative più convenienti e sicure per i lavoratori, e quasi tutto il guadagno resta nella comunità. Se c’è bisogno di un’ambulanza o di antiparassitari contro la mosca bianca che distrugge i raccolti, noi provvediamo

È un progetto che su larga scala può cambiare le sorti di un’intera economia, come ci siete arrivati?

«Abbiamo lavorato duro, studiando e creando un network di supporto e di conoscenze che si è poi rivelato fondamentale. Yahya Cete ed io ci siamo formati per due anni nel settore metalmeccanico. Voglio essere in grado di aggiustare quando possibile gli intoppi tecnici del nostro container, per non dover bloccare la produzione in attesa di assistenza».

Ha mai pensato di mollare tutto?

«L’hanno scorso ho perso mia madre ed ero a un passo dal chiudere tutto. Per alcuni mesi sono rimasto fermo, ma poi la vita ti costringe ad andare avanti. Lo devo a lei, lo devo al mio Paese e lo devo anche all’Italia, che mi ha accolto e messo in mano i mezzi per costruirmi il futuro».

(Margherita De Gasperis – NuoveRadici.world)

Foto di copertina: midivertounmondo.net  Illustrazione: Erika Samsa

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