Mali | Ancora sangue e silenzio per i Dogon

di Valentina Milani
dogon mali

Una nuova ondata di terrore ha invaso alcune zone del Mali nel totale disinteresse della comunità internazionale e dei media. Il bilancio? Donne sgozzate che giacciono riverse nelle proprie abitazioni. Le gambe divaricate parlano di probabili violenze subite. Case incendiate e arse al suolo. Uomini rannicchiati morti bruciati vivi.

Lasciamo stare i numeri, quindi, per una volta. Le immagini inviate in esclusiva alla nostra redazione da un abitante del posto sono decisamente più importanti. Non si tratta di sensazionalismo, si tratta di affrontare la realtà e raccontare la verità. E se la verità è brutale non è giusto addolcirla. Soprattutto se nessuno parla di una situazione che sta causando la morte di donne, bambini, civili innocenti.

Le fotografie che abbiamo ricevuto sono state scattate due giorni fa, dopo l’ultimo feroce attacco dei Peul contro i Dogon nei villaggi di Babel e di Sobane, nella regione di Bandiagara (Mali) dove ormai le incursioni e le violenze si ripetono con costanza.

«Il villaggio di Babel è stato attaccato ieri l’altro», scrive il nostro informatore sopravvissuto all’attacco. «Ora mi trovo a Sobane, paese che è stato anch’esso messo a fuoco e fiamme l’altra sera. Abbiamo passato due giorni senza mangiare. Anche io sono all’ospedale ora, insieme ad altre persone con gravi ustioni. Il fratello maggiore di una persona che è con me è morto carbonizzato».

Lo scorso 10 giugno il villaggio di Sobane era già stato oggetto di un attacco che provocò 35 vittime oltre alla devastazione generale. Quel poco che era stato ricostruito dai volenterosi sopravvissuti è stato nuovamente distrutto. Oltre alla morte e alla devastazione, bisogna infatti considerare le condizioni di chi, anche questa volta, è riuscito a salvarsi: senza una casa e magari con gravi perdite in famiglia, i sopravvissuti si ritrovano senza cibo, senza acqua e senza la possibilità di procurarsi alimenti a causa dell’evidente insicurezza della zona.

Le ragioni del conflitto sono state, più volte, riassunte nello schema ‘allevatori (Peul) contro agricoltori (Dogon)’. Una semplificazione utile per permettere alle persone di tenere facilmente a mente una diatriba che, effettivamente, esiste da tempo in questi termini me che però, negli ultimi anni, è uscita dal controllo delle autorità anche perché inasprita da altri fattori.

I Peul (detti anche Fulani) sono principalmente pastori nomadi, mentre i Dogon contadini sedentari. La convivenza tra le due diverse etnie con relative differenti gestioni economiche ha spesso generato scontri: le vacche dei Peul non di rado sconfinano infatti nei campi coltivati dei Dogon. Come ha scritto l’antropologo Marco Aime: «a volte le vacche sconfinate venivano sequestrate e liberate dopo il pagamento di un riscatto. Talora il contenzioso degenerava in rissa, ma le cose si risolvevano in modo semplice».

Il confronto/scontro tra i due diversi modelli di vita è degenerato negli ultimi anni a causa dell’espandersi e insinuarsi nel cuore del Sahel dell’islam più radicale che ha irrigidito le posizioni dei Peul, rendendoli più minacciosi e agguerriti. La guerra jihadista iniziata nel 2012 in diverse zone del Sahel ha infatti rafforzato l’alleanza fra Tuareg indipendentisti e gruppi filo-qaedisti. In Mali questa penetrazione estremista è portata avanti proprio dai Peul, a danno dei Dogon.

Come spiega Aime «oggi l’espansione dell’islam radicale avviene attraverso l’infiltrazione nei villaggi di singoli individui, che iniziano a diffondere le loro tesi integraliste, a convincere (non sempre con le buone) gli abitanti ad allontanare il maestro di scuola, tentando di imporre l’insegnamento religioso».
Naturalmente la violenza diventa poi reciproca, pare infatti che i Dogon abbiano creato un gruppo di autodifesa che contro-attacca i villaggi Peul.

In ogni caso questa situazione ha portato a una vera e propria emergenza: molti abitanti dei villaggi situati nel cuore del Mali vivono ora nel terrore. Ma non solo: stanno attraversando una forte crisi alimentare rischiando così di morie anche di fame. Si parla di persone normali che fino a poco tempo fa vivevano coltivando i propri terreni. Ora queste persone non sanno letteralmente che cosa ne sarà di loro.

La nostra fonte ha lanciato un appello di aiuto, fornendo una mail alla quale è possibile scrivere nel caso si voglia aiutare in qualche modo questa popolazione: paysdogon5@gmail.com

Quello dei Dogon è un disarmante appello fatto tramite cellulare, inviando foto come disperata prova dell’orrore che stanno vivendo. Di fronte a queste immagini, la domanda sorge spontanea: perché nessuno ne parla?

(Valentina Giulia Milani)

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