L’Etiopia cerca uno sbocco sul mare, a rischio la pace nel Corno?

di claudia
Corno d'Africa

di Céline Nadler

Distrazione dai fallimenti della politica interna o l’inizio di un’altra guerra regionale nel Corno d’Africa? Questo il quesito posto in un reportage realizzato da al-Jazeera, sulle velleità ribadite dall’Etiopia, secondo Paese più popoloso dell’Africa, per ottenere un porto marittimo e il tanto contemplato accesso al mare.

In effetti, il 26 ottobre, il Primo ministro etiope Abiy Ahmed ha dovuto smentire le notizie secondo cui il suo governo stava pianificando una guerra per ottenere l’accesso a un porto marittimo. Era il suo secondo tentativo – osserva al-Jazeera – in altrettante settimane di rassicurare gli Stati vicini del Corno d’Africa che la sua ricerca di una nuova porta di importazione per l’Etiopia sarebbe rimasta pacifica. “Il nostro esercito non ha mai preso l’iniziativa di invadere un altro Paese nella sua storia, e non inizieremo adesso. Non c’è nulla che cerchiamo di ottenere usando la forza o un’invasione”, ha detto Abiy durante i festeggiamenti per il 116esimo anniversario della fondazione dell’esercito etiope, nella capitale Addis Abeba.

Tuttavia, durante un altro discorso televisivo all’inizio di questo mese, il Primo ministro ha citato i legami demografici e le mappe risalenti al regno di Axum del terzo secolo per invocare le rivendicazioni territoriali etiopi sui porti del Mar Rosso in territorio eritreo, e ha affermato che la questione dell’accesso al Mar Rosso era “un questione esistenziale”.

Dall’indipendenza dell’Eritrea, il principale canale commerciale dell’Etiopia è stato il porto di Gibuti sul Mar Rosso: una strada non economica, in quanto Gibuti addebita all’Etiopia oltre un miliardo di dollari all’anno in tasse portuali.

Da anni il governo etiope contempla la diversificazione in Kenya, Somalia e Sudan: ultima iniziativa in ordine di tempo ad agosto, quando funzionari etiopi hanno visitato il porto di Lamu in Kenya per discussioni.

Il portale qatari osserva tuttavia che il tono di Addis Abeba è diventato sempre più assertivo, simile a quello usato dai funzionari etiopi quando discutono della costruzione dell’imponente diga rinascimentale etiope sul fiume Nilo: “150 milioni di persone non possono risiedere in una prigione geografica”, ha detto Abiy nel suo discorso del 13 ottobre sulla questione dei porti, citando la stima della popolazione dell’Etiopia entro il 2030. “Che vi piaccia o no, [la prigione] esploderà da qualche parte”.

I problemi economici stanno inoltre influenzando la ripresa dell’interesse per un porto, dopo anni di guerra civile e conflitti e le conseguente sanzioni economiche inflitte dagli Stati Uniti per i crimini di guerra commessi dall’esercito federale e dai suoi alleati nella regione settentrionale del Tigray. E le recenti violenze nelle regioni di Amhara e Oromia hanno costato al regime un significativo sostegno tra i nazionalisti etiopi. Per questo motivo – ipotizzano esperti intervistati da al-Jazeera – i recenti commenti del Primo ministro potrebbero essere una strategia per distrarre la popolazione dalle dure conseguenze dei successivi conflitti nel Paese e riconquistare parte del sostegno perso negli ultimi mesi, con i nazionalisti estremisti che, 30 anni dopo, ancora rifiutano l’indipendenza dell’Eritrea e considerano i porti di Massaua o Assab come legittimo territorio etiope.

Nel frattempo, oltre all’indebolimento politico, economico e militare di Abiy, le ultime dichiarazioni dell’ex Premio Nobel della Pace hanno spinto rappresentanti di Gibuti, Somalia ed Eritrea a confermare il loro rifiuto di discutere un accordo portuale che contragga la sovranità territoriale.

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