I corpi speciali dell’Africa

di claudia

di Enrico Casale

Conducono missioni segrete, affrontano le crisi più delicate, intervengono dove c’è bisogno della massima determinazione e efficienza. Sono le unità di élite degli eserciti africani. Composte da soldati addestrati fino allo sfinimento a muoversi in condizioni estreme e in operazioni ad alto rischio. Come nella guerra al terrorismo

Un tiro eccezionale. Più di due chilometri: 2,1, per la precisione. Non si conosce il nome del cecchino che ha ucciso il nemico da quella distanza. Ciò che si sa è che quella eliminazione è entrata nella lista dei dieci colpi più micidiali della storia e che il tiratore era un membro della Brigata delle forze speciali sudafricane in missione per le Nazioni Unite. Un soldato di un’unità di élite, addestrato fino allo sfinimento a muoversi in condizioni di terreno diverse e complesse. Sottoposto a training continui che ne mettono alla prova la tenuta fisica e psicologica. Sommozzatore, paracadutista ed esperto di sopravvivenza, oltre a essere addestrato in molte forme di combattimento. Un’immagine di efficienza e addestramento che cozza con quella che, comunemente, si ha degli eserciti africani, spesso considerati poco preparati, male armati e scarsamente affidabili.

L’esempio delle forze armate sudafricane e dei loro reparti speciali non è più isolato. Nel continente sono sempre più diffusi i battaglioni (a volte reggimenti o intere brigate) delle forze speciali. Regimi e dittatori li usano per mantenere il proprio potere e proteggersi da oppositori e dissidenti. I governi democratici fanno sempre più affidamento su queste élite per far fronte a minacce esterne, in particolar modo il terrorismo, ma spesso proprio tra le fila di questi corpi si celano militari infedeli autori di golpe (nell’ultimo anno è accaduto in Guinea, Mali, Sudan, Burkina Faso…).. Gli eserciti delle grandi potenze si contendono da anni l’assistenza e le attività di formazione dei gruppi d’élite in Africa. Stringere accordi militari coi governi, a supporto dei loro migliori apparati di difesa, significa poter esercitare un’influenza sui centri nevralgici del potere. La Francia organizza periodiche esercitazioni nelle ex colonie, dal Marocco al Ciad, dal Senegal a Gibuti, mentre la Russia (coi soldati del Gruppo Wagner) ha strappato il monopolio della cooperazione militare di Parigi in Mali e Centrafrica. Ma nello scacchiere geopolitico e militare ci sono un po’ tutti: Usa (Nigeria e Corno d’Africa), Gran Bretagna (Africa orientale e meridionale), Turchia (Somalia e Libia). C’è pure l’Italia, impegnata coi suoi militari a fornire assistenza e formazione alle task force “speciali” e alla Guardia nazionale del Niger.

Foto di KAY NIETFELD / DPA / dpa Picture-Alliance AFP)

L’incubo dei jihadisti

Tra le numerose unità speciali africane spicca, per la determinazione dei suoi membri, conosciuti come “ninja”, il Gruppo di intervento speciale dell’esercito algerino. Negli anni Ottanta ha condotto numerosissime operazioni coperte che hanno permesso di scoprire cellule dei fondamentalisti del Gruppo islamico armato. Sono famosi per non aver pietà dei jihadisti. Si dice che in caso di rapimenti siano soliti uccidere anche gli ostaggi civili per dissuadere gli aspiranti terroristi dall’usarli come merce di scambio. Una fama che si sono conquistati nella liberazione del sito petrolifero di In Amenas occupato da miliziani di al-Qaeda e di Mokhtar Belmokhtar. Era il 2013 e, nonostante siano stati liberati 685 lavoratori algerini e 107 stranieri, nell’irruzione è stata fatta fuori una quarantina di dipendenti civili, destando le proteste di numerosi Paesi.

Tra le truppe speciali del Nord Africa, è molto apprezzata a livello internazionale anche la Task Force 777, unità di élite delle forze armate egiziane. Impiegata in guerra contro Israele negli anni Settanta, recentemente è stata dispiegata nel Sinai, dove combatte le milizie dell’Isis che nella penisola hanno numerose basi. Contro l’Isis si batte anche il Gruppo delle forze speciali dell’esercito tunisino. Dotati di armi sofisticate, fornite loro dai Paesi occidentali, i militari tunisini seguono un intenso e durissimo programma di addestramento. Secondo analisti militari, nel 2015 e nel 2016 sono stati schierati in Libia per contenere le possibili infiltrazioni di jihadisti attraverso le frontiere. Al loro fianco combatte anche l’Unità speciale della guardia nazionale. Reparto della polizia di Tunisi, addestrato secondo i metodi dei Navy Seal (unità speciali della Marina Usa), è anch’essa impegnata nella lotta al terrorismo. Nel gennaio del 2018 i suoi agenti hanno eliminato un comandante di al-Qaeda del Maghreb islamico (Aqmi) ricercato in Algeria dal 1993.

Contro i miliziani somali

Sulle truppe speciali fa affidamento anche il governo somalo per fronteggiare la minaccia di al-Shabaab, milizia jihadista legata ad al-Qaeda. Le formazioni più temute sono la brigata commando Gorgor (aquila) dell’esercito nazionale, l’unità di polizia Haramcad (ghepardo) e l’unità Danab. Le prime due sono addestrate dalle forze armate e dalla polizia turche, la terza dagli Stati Uniti. Le operazioni di queste unità sono spesso coperte e quindi poco conosciute.

Secondo quanto riportano alcuni analisti militari, Danab avrebbe avuto più successo di altri reparti contro al-Shabaab grazie a un addestramento e a un equipaggiamento di gran lunga superiori. Il problema è che il reparto conta su pochi uomini, a fronte di un esercito di fondamentalisti che arriva ai 10.000 combattenti attivi, con una rete ben più ampia di informatori e sostenitori. Nella stessa regione opera anche il Kenyan Army Special Operations Regiment, composto dalla Rangers Strike Force e dalle Special Forces. Gli operatori di questi reparti sono addestrati da americani e britannici, che li sottopongono a un training durissimo. Sono specializzati in operazioni di infiltrazione e ricognizione, ma anche come forza d’attacco. Le loro qualità, superiori a quelle della media dei soldati keniani, sono state messe in mostra nel 2013 nella presa di Chisimaio, città somala in mano ai miliziani di al-Shabaab. In quell’occasione è stata una unità delle forze speciali keniane, attraverso un’operazione anfibia, a catturare la città portuale riducendo al minimo le vittime.

Foto di FADEL SENNA / AFP

«Non sono cowboy»

Sul doppio fronte della pirateria e del terrorismo combatte invece il Nigerian Navy Special Boat Service. Unità creata nel 2006 sul modello delle forze speciali britanniche, è nota per la capacità di operare in mare, sui fiumi e sui bacini lacustri a bordo di piccole imbarcazioni molto mobili. Per questo motivo, lo stato maggiore di Abuja l’ha schierata nel Golfo di Guinea contro i pirati.

È diventata celebre nell’ambiente delle forze speciali la liberazione della nave britannica Vectis Osprey presa in ostaggio da un gruppo di pirati nel 2016. I commando nigeriani hanno neutralizzato gli assalitori senza fare vittime e hanno liberato il mercantile. Oggi sono ingaggiati nelle missioni più delicate, come quelle condotte per liberare studenti rapidi da gruppi criminali e miliziani di Boko Haram. «I componenti delle forze speciali possono essere paragonati ad atleti di altissimo livello», ha spiegato il generale Jérôme Pellistrandi, redattore capo della francese Revue Défense Nationale. «Sono persone appassionate, che amano l’adrenalina ma che sanno controllare i rischi, non sono dei cowboy. La loro forza risiede anche nella coesione della loro unità. Hanno totale fiducia nel loro compagni di squadra grazie alla formazione e agli allenamenti che seguono costantemente». E ha aggiunto: «Le forze speciali prendono di mira le organizzazioni terroristiche per neutralizzarle e distruggerle. Il loro ruolo è limitare l’entità dell’insicurezza e ridurre la minaccia».

Questo articolo è uscito sul numero 2/2023 della rivista Africa. Per acquistare una copia, clicca qui, o visita l’e-shop

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