Gli orfani perduti di Sankara

di claudia

di Stéphane Barbier e Armel Baily – foto di Olympia De Maismont / Afp

Nel 1986 il presidente rivoluzionario del Burkina Faso mandò a studiare a Cuba seicento ragazzini senza genitori. Dovevano diventare la punta di diamante della rivoluzione burkinabè: una generazione temprata nella dottrina e preparati per guidare il Paese. Le cose andarono diversamente

Più di trentacinque anni son passati da quando Thomas Sankara mandò a Cuba 600 giovanissimi del Burkina Faso, per lo più orfani, per un programma di formazione scolastica, professionale e ideologica. Il “Che Guevara d’Africa” sperava di plasmare così la nuova classe dirigente burkinabè. «Sankara arrivò a Cuba nel 1987», ricorda oggi Stanislas Damiba, presidente dell’associazione di quelli che furono chiamati gli “orfani di Sankara”. «Strinse la mano a tutti noi e ci disse: “Formatevi bene per venire a sviluppare il vostro Paese”».

Sankara era promotore di un programma di ispirazione marxista-leninista in vista di sradicare la povertà e sfidare l’ordine mondiale «imperialista e coloniale». Fu naturale per lui rivolgersi alla Cuba di Fidel Castro. Il gruppo contava oltre 600 fra bambini e adolescenti tra i 12 e i 16 anni, 135 le ragazze, «tutti di famiglie svantaggiate e in gran parte orfani», ricorda Damiba. Al loro rientro avrebbero dovuto rappresentare la punta di diamante della rivoluzione burkinabè. Le cose andarono diversamente.

«È una grande delusione per noi oggi», ammette Damiba. «Ottantacinque nostri compagni sono morti, alcuni suicidi, e circa 400 sono disoccupati». A 46 anni, Damiba ha aver avuto una sorte migliore della maggior parte dei suoi compagni: è ingegnere, e indossa con orgoglio una maglietta di Sankara, che considera un “padre spirituale”.

Sogni traditi

«Partimmo per Cuba nel settembre del 1986 pieni di entusiasmo», ricorda Damiba. «Con noi c’erano sei insegnanti burkinabè incaricati di tenerci corsi di francese, storia, geografia ed educazione sessuale; altre materie specialistiche sarebbero state insegnate da cubani». Il gruppo fu portato all’Isola della Gioventù, dove si mescolavano studenti di quaranta nazionalità. «Ci furono dati sei mesi per imparare lo spagnolo, poi iniziammo la formazione». Sankara li visitò nel settembre 1987: «Lavorate duro e tornate per costruire la nazione!». Un mese dopo, il “padre della rivoluzione” fu assassinato. «Per tre giorni ci sentimmo troppo storditi perfino per mangiare o bere», ricorda Damiba. «Poco tempo dopo, i nostri sei supervisori furono richiamati nel Paese e sostituiti da altri».

La “rettifica” delle politiche di Sankara era già iniziata. «Il nuovo governo decise di accorciare il nostro periodo di formazione», aggiunge Damiba. «Inoltre tagliò la borsa di studio mensile di circa 100 dollari (86 euro), rendendo impossibile gli studi agli “orfani”». Dei 600 del 1986, soltanto 33 hanno avuto una formazione universitaria. E non è servita a granché: prima della partenza per Cuba, a tutti era stato promesso un impiego pubblico sicuro, ma solo un terzo lo ottenne.

Al danno si aggiunse la beffa: il governo non riconobbe le qualifiche conseguite dagli studenti a Cuba. Da anni l’associazione degli orfani è ingaggiata in una battaglia legale contro il governo di Ouagadougou per un risarcimento. «Siamo vittime innocenti», sospira Damiba. «Il proiettile che ha ucciso Sankara ha ucciso di rimbalzo molti altri, noi compresi».

Questo articolo è uscito sul numero 5/2022 della rivista Africa. Per acquistare una copia, clicca qui, o visita l’e-shop.

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