Enrico Casale ▸ Weah non segna più

di Pier Maria Mazzola
George Weah

Dalle mirabolanti promesse elettorali alla gestione effettiva della cosa pubblica, c’è una distanza molto più lunga di quella che lo separava dalla prossima rete. Quando si è al governo non si può dribblare troppo. Si rischia l’autogol.

I suoi dribbling facevano impazzire i difensori avversari. I suoi gol impossibili mandavano in estasi i tifosi. Ma ad affascinare, del suo personaggio, era anche l’impegno a favore dei diritti umani e contro le violenze in Liberia. A ormai un anno dalla sua elezione, però, George Weah è come se fosse un altro uomo. Le grandi aspettative sono andate deluse. La fiducia accordatagli dal 61% dei liberiani nell’ottobre e nel dicembre (ballottaggio) 2017 è andata svanendo sotto i colpi di politiche illiberali e incompetenti.

La prima contraddizione dell’era Weah è emersa subito. Quando ancora vestiva le casacche del Milan e del Paris Saint-Germain, si era schierato contro Charles Taylor e nel 2000 aveva preteso dal feroce dittatore la liberazione di quattro giornalisti inglesi accusati di spionaggio. Nel 2002 aveva poi promesso l’istituzione di un Tribunale speciale per i crimini di guerra. Non appena eletto, però, ha nominato come sua vice Jewel Howard-Taylor, l’ex moglie di Charles Taylor. Sulla scelta è forse pesata la necessità di portare dalla sua parte i consensi di cui il clan Taylor gode ancora in Liberia. Weah non lo ha detto e si è giustificato alzando le spalle dicendo: «Chi non ha partecipato alla guerra civile?».

Piano piano ha cambiato idea anche sul Tribunale. Niente processi. Niente indagini. Ha messo una pietra, anzi un masso, sulle due guerre civili che hanno causato 250.000 morti e distrutto il Paese. Chi gli ha fatto notare che non ha mantenuto le promesse è stato minacciato, perseguitato, querelato. È capitato ai giornalisti di Front Page Africa, un giornale troppo critico nei confronti dell’ex calciatore. Il presidente, pur di mettere a tacere quella voce fastidiosa, ha querelato il direttore chiedendo un risarcimento di due milioni di dollari (in una nazione dove il reddito medio non supera i 45 dollari al mese).

Weah si è accanito anche contro Jonathan Paye-Layleh, corrispondente della Bbc. I sostenitori del presidente hanno minacciato il giornalista e gli hanno promesso dure conseguenze nel caso avesse continuato a pungolare il loro leader. «Ho paura che il presidente ordini il mio arresto – ha spiegato il giornalista – e questo solo perché mi sono schierato contro di lui e ho chiesto conto del Tribunale penale internazionale per i crimini di guerra che non ha ancora costituito».

I detrattori accusano Weah, nato in una bidonville e con studi poco strutturati alle spalle, di avere scarse capacità politiche e di essere sostanzialmente incompetente in campo economico. Mancanze che spiccano, se si paragona Weah a chi l’ha preceduto. Ellen Johnson-Sirleaf era infatti laureata ad Harvard, aveva ricevuto un Nobel e, pur tra mille difficoltà, era riuscita a rilanciare il Paese dopo la guerra e dopo la terribile epidemia di ebola che lo ha colpito nel 2014 e nel 2015.

In campagna elettorale, Weah aveva promesso politiche «a favore dei poveri» e aveva affermato di voler «trasformare la vita di tutti i liberiani». Giunto al potere, simbolicamente si è tagliato lo stipendio del 25% e ha ridotto le tasse scolastiche a 34.000 studenti. Il governo ha poi annunciato piani per fornire un sistema di wi-fi gratuito presso l’Università della Liberia e alcuni ambiziosi piani a lungo termine in campo sanitario e infrastrutturale. Weah si è però subito reso conto delle difficoltà che avrebbe incontrato e ha messo le mani avanti: «La nostra economia è distrutta. Il nostro governo è al verde. La nostra valuta è in caduta libera. L’inflazione sta aumentando. La disoccupazione è a un livello senza precedenti».

I suoi progetti hanno sollevato preoccupazioni tra gli osservatori internazionali. Alcuni, per esempio, hanno suggerito di non costruire nuove strutture mediche, ma di investire il denaro in quelle esistenti. Ad aprile, infatti, i responsabili dei principali ospedali hanno dichiarato che diversi servizi sarebbero stati chiusi per mancanza di fondi. Altri critici si sono chiesti se la Liberia possa permettersi di prendere in prestito centinaia di milioni per progetti infrastrutturali quando i livelli del debito sono già alti.

Weah riuscirà nei prossimi anni a dribblare queste difficoltà? Difficile dirlo, ora. La politica potrebbe rivelarsi per lui un terreno di gioco assai più insidioso dei campi di calcio.


Enrico Casale è il responsabile della sezione News del sito www.africarivista.it. È stato redattore di Popoli, mensile internazionale dei gesuiti italiani. È autore, insieme a Marco Bello, di Burkina Faso. Lotte, rivolte e resistenza del popolo degli uomini integri (Infinito Edizioni).

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