Covid-19| Fake news, un altro nemico per l’Africa

di Stefania Ragusa

Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Oms ed eritreo, ha parlato ieri dei Paesi africani con toni allarmanti: «Devono svegliarsi» di fronte alla minaccia rappresentata dal Covid-19 e prepararsi «al peggio». Le rigorose misure di contenimento e controllo disposte con ragionevole rapidità ovunque potrebbero non essere sufficienti. In assenza di sistemi sanitari capillari e efficienti, anche se buone notizie arrivano dal fronte della ricerca (il test “economico” allo studio a Dakar è atteso per giugno), il rischio che il contagio batta sul tempo la tecnologia scientifica è concreto. Ma c’è un altro nemico con cui l’Africa si sta misurando in queste ore difficili: la disinformazione – più o meno in malafede – che viaggia soprattutto su internet e rischia di vanificare l’impegno delle istituzioni.
Oltre alle fake news, viste anche in Europa (come la cura dell’aglio o quella della vitamina C), in molti Paesi africani c’è chi alimenta e diffonde l’idea, per esempio, che la malattia colpisca solo i bianchi o che si tratti di una cospirazione ordita dai laboratori farmaceutici. Da qui la necessità di muoversi, anche a livello istituzionale, per contrastare e respingere le false informazioni.
È di poche ore la notizia che il Sudafrica, insieme con una serie di limitazioni alla vita pubblica, ha disposto la prigione per chi diffonde fake news sul virus. Il dipartimento sanitario nazionale del Paese aveva già istituito nei giorni scorsi un servizio WhatsApp per fornire ai cittadini informazioni corrette sulla malattia (sintomi a cui prestare attenzione, cosa fare in caso di dubbio…) e la prevenzione e per sensibilizzare rispetto al tema caldo delle truffe.
Anche il ministro della Salute senegalese ha dichiarato guerra a quanti diffondono false informazioni negando l’esistenza del coronavirus. Tre personalità religiose di rilievo, che avevano negato l’esistenza della malattia, sono state convocate dalla gendarmeria nei giorni scorsi e hanno in buona sostanza dovuto ritrattare pubblicamente. La loro tesi era che a Touba, città santa del muridismo (la confraternita islamica più seguita nel Paese), la malattia non potesse insediarsi. Le informazioni ufficiali del governo, oltre che attraverso i canali tradizionali, ossia tivù e giornali, vengono diffuse su WhatsApp tramite un bot.
«La scelta di WhatsApp come strumento per combattere la disinformazione non è casuale, dato il suo ampio utilizzo in tutta l’Africa. In effetti, WhatsApp è diventato così popolare, anche le versioni knock-off dell’app sono ovunque utilizzate più frequentemente di Facebook, Snapchat e Twitter», ha spiegato Yomi Kazeem su Quartz Africa. In Nigeria, Paese da cui Kazeem scrive, la maggior parte delle notizie fake viaggia proprio su questo sistema di messaggistica istantanea. È sensato dunque che, per provare a correggere la rotta, si utilizzi il medesimo canale.
Come è noto, i giganti dei social media si sono mossi per contrastare in generale il fenomeno fake news, ma per l’Africa stanno attivando strategie particolari. Facebook, per esempio, avrebbe deciso di consentire al Center for Disease Control della Nigeria e all’Organizzazione mondiale della sanità di inserire banner relativi a campagne di informazione sul coronavirus, vietando contestualmente ogni pubblicità di prodotti che pretendono di prevenire o curare la malattia.
Twitter ha lanciato un prompt di ricerca dedicato al Covid-19 che amplifica le informazioni credibili assicurando che gli utenti vedano i tweet delle autorità sanitarie locali nella parte superiore del loro feed. Il servizio è ora attivo in Nigeria, Tunisia, Egitto, Algeria e Marocco.

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