Camerun, gli scandalosi stadi della Coppa d’Africa

di Marco Trovato

Per ospitare l’imminente Coppa d’Africa il Camerun non ha badato a spese, costruendo nuovi stadi imponenti come il Paul Biya di Yaoundè, 60.000 posti a sedere costati la distruzione di decine di ettari di foresta e coltivazioni. Secondo il governo sarà il nuovo cuore pulsante della capitale del futuro, molto più probabilmente resterà l’ennesima cattedrale nel deserto.

di Federico Monica

Nonostante l’emergenza Covid, i molteplici rinvii e le polemiche internazionali la data sembra certa: il 9 gennaio il Camerun si appresta ad ospitare la trentatreesima edizione della coppa d’Africa, ciò che ancora non si conosce con certezza però è la location della cerimonia inaugurale.

Non è certo, infatti, che la Federazione sportiva Camerunense riesca ad allestire per tempo il nuovissimo stadio di Yaoundè, realizzato dalle imprese italiane Piccini e Maeg alla periferia della capitale proprio in occasione della coppa d’Africa.

Un’opera faraonica che porta il nome di Paul Biya, il controverso presidente in sella dal 1982, che ne ha promosso la costruzione nonostante la capitale del Camerun vantasse già uno stadio importante: l’impianto Ahmadou-Ahidjo, costruito nel 1972 proprio in occasione della coppa d’Africa e rinnovato nel 2016 per raggiungere una capienza di oltre 40.000 posti.

Gli interrogativi e le polemiche riguardano molti aspetti, a partire ovviamente dai costi. Si parla di 200 miliardi di franchi CFA, oltre 300 milioni di euro, a cui sommare le ulteriori centinaia di milioni spese per i nuovi impianti di Douala e per l’adeguamento degli altri cinque stadi che ospiteranno i match del torneo. Troppi soldi secondo gli oppositori e diversi commentatori internazionali, specialmente per un paese poco trasparente, fragile e che si trova ancora ad affrontare problemi strutturali, primi fra tutti la mancanza di democrazia e il conflitto irrisolto con le regioni anglofone dell’ovest.

Oltre all’economia gli aspetti controversi riguardano prevalentemente la sostenibilità ambientale e urbana su cui la costruzione di un secondo stadio ha impatti non trascurabili.

Yaoundè è da sempre una città legata a doppio filo con il territorio rurale e naturale che la circonda: costruita su una serie di colline separate da piccole valli rimaste inedificate dette bas-fonds, in cui centinaia di famiglie praticano ancora l’agricoltura urbana rifornendo i mercati di ortaggi e prodotti freschi “a chilometro zero”. La crescita degli ultimi decenni ha intaccato questo fragile ecosistema nelle zone più centrali ma non nelle prime periferie, dove la capitale mantiene un aspetto semi-rurale di piccola città agraria.

È proprio in uno di questi quartieri chiamato Olembè, a una manciata di chilometri a nord del centro, che il nuovo stadio voluto dal governo come vetrina ha cancellato un’area di oltre 70 ettari di boschi, vegetazione e piccole coltivazioni informali.

Il nuovo stadio nel quartiere chiamato Olembé della capitale Yaoundè

E come spesso accade una nuova infrastruttura ne attira altre, tanto che nell’arco di soli 5 anni fra strade, parcheggi, centri commerciali o edifici privati un’area naturale di oltre 800 ettari è quasi completamente urbanizzata senza un’apparente pianificazione complessiva.

La musica non cambia a Douala, dove il nuovo stadio da 50.000 posti di Jacoma, realizzato grazie a importanti investimenti e prestiti turchi, ha occupato una superficie di 75 ettari all’estrema periferia est della città, un terzo dei quali adibiti a parcheggi. E il prezzo da pagare non riguarda solo le superfici edificate: osservando il territorio dall’alto è facile notare la quantità di cave, legali o illegali, da cui sono stati ricavati gli inerti per le costruzioni, interi versanti di colline deforestati e sbancati, destinati all’erosione.

Secondo i proclami del governo lo stadio di Olembè è destinato a diventare il nuovo cuore pulsante di Yaoundè, il centro moderno ed efficiente di una città che guarda al futuro. Tutto è possibile, anche se le enormi infrastrutture sportive, circondate da sterminati parcheggi tendono solitamente a somigliare più a cattedrali nel deserto che a centri brulicanti di vita, come testimoniano le desolanti zone olimpiche che costellano le città di mezzo mondo.

Oltre alle visioni future più o meno realistiche il problema di fondo rimane però la riproposizione di un modello urbano che continua a sacrificare territorio e vegetazione, ampliando a dismisura l’impronta delle città e allontanandosi sempre più da quel cambio radicale di direzione che la crisi climatica richiederebbe.

Una volta che si saranno spente le luci e l’euforia della finale a Yaoundè tornerà la vita di sempre e il nuovo stadio, tanto bello quanto inutile, resterà come testimonianza concreta dell’autocelebrazione di un potere politico ripiegato su sé stesso e di un modello di “sviluppo” obsoleto e senza futuro, in Camerun come nel resto del pianeta.

(Federico Monica – Taxibrousse)

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