Burkina Faso, il sentimento anti-francese che lega il Sahel

di claudia

L’appello del ministro degli esteri burkinabé Alpha Barry ai manifestanti che sono riusciti a bloccare un convoglio militare francese, entrato in Burkina Faso dalla Costa d’Avorio e diretto a Gao, in Mali, via Niger, dice due cose del Burkina Faso di oggi: la prima, ma lo ha detto anche Barry, è che Ouagadougou vuole continuare ad essere ancora “amica” di Parigi e la seconda è che questa amicizia potrebbe non essere più molto gradita, né tollerata, dalla popolazione burkinabé.

Il diffondersi, sempre più in profondità, di un forte sentimento anti-francese tra la popolazione del Burkina Faso è una cosa piuttosto comune nei paesi del Sahel: in Mali, complice anche la propaganda della giunta militare al potere, la popolazione sembra sostenere la durezza con cui Bamako ha trattato la decisione unilaterale di Parigi di ridurre il contingente militare della Barkhane. Una decisione che ha portato la giunta militare a rivolgersi altrove in materia di sicurezza, ai russi della Wagner.

È dalla seconda metà del 2019 che un forte sentimento anti-francese pervade le popolazione dei paesi del Sahel, che quando va bene accusano Parigi di fare solo i propri interessi e quando va male addirittura di armare i gruppi terroristici che i militari francesi dovrebbero invece contrastare. Anche in Niger, dove le manifestazioni anti-francesi sono molto partecipate sin da settembre 2019.

La particolarità, che maggiormente allarma i francesi, è che tali manifestazioni non si tengono solo nella zona dei tre confini ma proprio nelle città, a Bamako, a Ouagadougou e a Niamey. E che, a parte il governo del Burkina Faso, sono in qualche modo sostenute dalle autorità locali, che lo fanno per opportunismo politico ma anche perché l’acredine verso la Francia c’è ed è ai livelli più alti della società, in Mali come in Niger.

Tornando al convoglio militare bloccato in Burkina Faso, ancora fermo a 30km da Ouagadougou ma in sicurezza all’interno di un compound militare, questo è solo l’ultimo, clamoroso, capitolo di una storia d’amore agli sgoccioli, quella tra Francia e popolazioni del Sahel. La minaccia terroristica in crescita, una minaccia che è uscita dalla zona dei tre confini per arrivare nelle città, e tutto ciò che questo comporta per la popolazione (cambio di abitudini, sospetto diffuso, difficoltà quotidiane, paura latente) si aggiunge ai problemi economici legati agli effetti della pandemia e a una gestione della sicurezza non sempre virtuosa da parte delle forze francesi: un problema che si ripercuote, in modo diverso ma sempre drammatico, sulle popolazioni locali. Solo in Burkina Faso sono oltre 1,4 milioni gli sfollati a causa del terrorismo, 304.000 gli studenti cui è impedito di proseguire gli studi: il deteriorarsi della sicurezza nei tre paesi è un dato di fatto a cui Parigi ha aggiunto un altro dato di fatto, il ritiro di parte delle truppe. A questo si aggiungono i molti morti tra le fila degli eserciti locali, morti che hanno famiglie e amici e i cui cadaveri vengono spesso gettati in pasto alla propaganda dei media per rinforzare la posizione anti-francese delle istituzioni, siano governi o giunte militari.

In questo senso il Burkina Faso aggiunge un problema a quelli sopraelencati: anche il governo di Ouagadougou è sempre meno gradito alla popolazione. Da settimane sindacati, partiti politici di opposizione e movimenti spontanei di piazza annunciano manifestazioni, chiedono cambi di rotta e minacciano di invocare le dimissioni del presidente Kaboré. Una distanza, quella tra istituzioni e popolazione, che è ormai siderale

(Andrea Spinelli Barrile)

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