Bologna, l’urban music senegalese muove la diaspora tra locale e globale

di claudia

L’urban music è un linguaggio diretto, semplice e coinvolgente attraverso il quale le nuove generazioni definiscono la propria identità e la rispettiva appartenenza a un gruppo. Strumento di denuncia e di racconto, questo genere musicale vede protagonisti tanti giovani della comunità senegalese in Italia. A Bologna, venerdì 8 ottobre, alle ore 18, nello spazio DAS di via del Porto, ne parleranno due artisti (uno senegalese e uno italo-senegalese) nell’ambito del Terra di Tutti Film Festival

di Valentina Geraci

Ci sono delle storie che devono assolutamente essere raccontate. Ci sono degli eventi che hanno bisogno di saltare allo scoperto e di essere d’impatto per chi, troppo banalmente, si approccia a certe tematiche. Esiste spesso il bisogno di trovare nuovi modelli di comunicazione diretti e coinvolgenti soprattutto per le nuove generazioni e nell’interesse di una società intera.

Presa di mira da molti, “ghettizzata” e criticata, l’urban music è ormai da anni uno strumento che muove verso la partecipazione e l’inclusione, che fotografa realtà diverse e che racconta storie di prima mano. Che si parli di identità, di esperienze personali o più semplicemente di cultura, l’urban music non fa sconti a nessuno e si esprime senza giri di parole.

A voler raccontare un’Africa diversa rispetto alla visione stereotipata del continente povero e problematico diffusa dai mass media, a voler condividere l’esperienza migratoria ricordando la storia coloniale e il tema dell’accoglienza, gli artisti senegalesi stanno entrando sempre più nel mercato musicale nazionale e internazionale.

Le città, spazi sempre più multietnici, abbracciano l’urban music senegalese che prende parola dalla diaspora e abbraccia i fenomeni migratori transnazionali senza mai dimenticare la cultura popolare locale. La oggi fertile eredità musicale del Senegal è dovuta in parte anche alla storia del suo popolo, frutto dell’integrazione di idee straniere, crocevia di pratiche culturali diverse e di un locale che si mescola sempre più su scala globale. Da questi elementi l’urban music trae la forza per riscattare tematiche di cui nessuno parla (o di cui si parla male), muovendosi tra i vari livelli di complessità che interessano il Paese e il continente tutto.

La storia del rap senegalese

La storia dell’urban music senegalese è strettamente ancorata alle dinamiche storiche del Paese e lo scambio di esperienze musicali nasce anche come risposta a tutti quegli spostamenti che negli anni, ancora prima dell’arrivo degli europei, hanno interessato le varie etnie presenti nell’area senegambiana.

Nel fornire qualche esempio storico delle prime forme di migrazione e dei primi esempi di incontro, basta pensare agli antichi imperi dominanti nella regione, all’etnia dei Toucouleur (gruppo etnico dei fulani) che, maggiormente dediti all’agricoltura si spostarono nel corso del IX secolo in direzione della valle del fiume Senegal seguiti poi da altri gruppi etnici (Wolof, Peul, Seereer) e, ancora, all’espansione dell’impero maliano nel XIV secolo.

È in questo arco temporale che ricordiamo la prima espressione musicale all’interno del Senegal, che anticipa l’urban music in senso stretto e di cui i primi rappresentanti furono i cosiddetti Griots. Questi erano dei veri e propri cantautori nomadi, considerati dei custodi di parole e racconti che si esprimevano con la danza e con la musica. Tra gli strumenti impiegati il sabar (usato spesso in occasione di festeggiamenti), il kora (una sorta di arpa) e dalla regione meridionale il balafon (una sorta di xilofono). I Griot amavano viaggiare in tutta la regione e nascono come portatori di notizie e  tradizioni,  spesso chiamati a esibirsi nei matrimoni, in manifestazioni a stampo politico e/o religioso, in eventi e cerimonie varie. In breve, la figura del Griot riprende quella dell’attore, del musicista e dello storico e si ricorda per la spiccata abilità di unire stili musicali differenti in occasione dei loro spostamenti  in tutta l’area senegambiana.  Questo atteggiamento e le loro capacità hanno reso possibile una forte mobilità tra gruppi etnici, suscitando un atteggiamento di apertura sempre maggiore che registrò una continua evoluzione negli anni. 

Il tradizionale Kora

A questa fase, qui sommariamente citata, si accompagnarono le prime forme di contatto che unirono il Senegal al mondo europeo e che risposero alle esplorazioni dei portoghesi nel corso del XV secolo sul territorio africano. Successivamente, nel periodo che va dal finire del XVI e l’inizio del XVII secolo, furono invece francesi e inglesi a intervenire sul territorio senegalese, considerati i propri interessi nei confronti dell’area vicina al fiume Senegal. Nel 1617 gli olandesi, a loro volta, occuparono l’isola di Gorée, il cui controllo passerà alla Francia qualche decennio dopo. Lo Stato francese si impegnò qui a sfruttare l’isola, rendendola uno dei maggiori punti di raccolta per tutti coloro che furono poi venduti come schiavi nel continente americano. La Francia, nello specifico, ebbe forti legami con lo Stato senegalese, dovuti alla successiva installazione del regime coloniale, concedendo l’indipendenza al Paese solo nel 1960. Da lì a poco, precisamente nel corso degli anni Ottanta, si ricordano dei gruppi che rimandano all’urban music e che riprendono i legami tra il Paese e la Francia. Basti pensare alla posizione che assunse  il Centro Culturale francese di Dakar o alla crescita di gruppi quali Positive Black Soul che si esibì nelle lingue inglese, francese e wolof  con strumenti tradizionali senegalesi e con un impegno e attivismo socio-politico sin dalla sua fondazione.

Tra gli anni Ottanta e Novanta si registra poi una proliferazione di gruppi e artisti interessati al mondo dell’urban music, abbracciando anche il genere taasu, uno stile legato al “mondo wolof” e  utilizzato nelle performance dei Griot. Pian piano la crescita e la condivisione di certe tematiche tramite le arti musicali e culturali hanno reso possibile una diffusione delle stesse tra i più giovani e spesso furono vissute come una sorta di richiamo all’attivismo sociale e a una maggiore presa di coscienza, ispirati dai discorsi sempre più presenti nell’hip hop statunitense.

Una urban music globalizzata, il potere dei testi

Le note della musica senegalese, riprendendo questo desiderio dei Griot di spostarsi nell’area senegambiana prima, con la diaspora e le dinamiche transnazionali poi e con il potenziale del digitale oggi, raggiungono man mano l’Europa e l’estero. Quel che più comunemente è oggi attribuito al Senegal è frutto del lavoro di Youssou N’Dour, politico e cantautore senegalese che ha unito tradizioni locali a strumenti “nuovi”, mettendo insieme il sabar senegalese alla chitarra europea e giungendo nelle casse del mercato musicale internazionale.

Youssou N’Dour

L’urban music si muove quindi con la diaspora senegalese, con i più giovani ma anche con i mezzi propri della comunicazione digitale.  Basti pensare che in Senegal, due rapper locali hanno dato vita nel 2013 a un telegiornale che utilizza dei testi rap in lingua sia wolof che francese per condividere informazioni e notizie su tematiche locali e internazionali che toccano politica, questioni sociali, cronaca ed economia o, ancora, sullo sfondo del progetto Empowering Young People Through Media and Communication, si è pensato di creare maggiore interesse nei giovani in Senegal e in altri sette Paesi africani sul tema della migrazione irregolare con nuove strategie di comunicazione che abbracciano, ancora una volta, l’urban music. Da questo obiettivo, è stato diffuso il video denominato  Journalrappé, un telegiornale gestito da artisti del mondo rap che creano scene interessanti sullo sfondo di testi musicali, confrontandosi con i più giovani sul tema della migrazione non regolare, sui rischi delle stesse e sulle possibili alternative.

L’urban music quindi sta pian piano acquisendo maggiori apprezzamenti, interessandosi maggiormente di questioni più sociali, economiche, comunicative ma anche politiche. Su questo punto, interessante è  la canzone del gruppo rap senegalese Bideew Bou Bess “Io appartengo” (2016), parte di una campagna dell’UNHCR contro l’apolidia. Questa ha infatti giocato un ruolo essenziale nel suscitare maggior coinvolgimento, sensibilizzazione e vicinanza nei confronti degli apolidi e delle comunità senegalesi all’estero. Sempre osservando all’interesse legato al panorama internazionale, solo qualche mese fa, in occasione delle manifestazioni contro l’arresto del dirigente di opposizione Ousmane Sonko, il desiderio di  cambiamento dei più giovani ha fatto rima con i testi di artisti rap per coinvolgere sempre più coetanei a tematiche tanto attuali quanto proprie anche alla diaspora. Un esempio è stato il giovane artista Dip Doundou Guiss che ha condiviso la sua rabbia per i giovani morti durante le manifestazioni, denunciando anche la politica francese e riprendendo temi storici che ricordano l’epoca coloniale.

Fula e Leuz a Bologna

Che la diaspora senegalese in Italia sia una delle comunità più grandi, numericamente parlando, forse si sa. Aspetti un po’ più complessi da far propri di fronte a una retorica banale e tanto piena di stereotipi riguarda invece la conoscenza delle condizioni economiche,  politiche e storico-culturali del Paese e, ancora di più, del tanto discusso tema della migrazione.

Ad accorgersene e ad assumersi questo impegno di informazione, condivisione e scambio di idee, nuovamente l’urban music. Su questo, mi sembra interessante segnalare che nel giro di qualche giorno, precisamente venerdì 08 ottobre dalle ore 18.00 nello spazio DAS di via del Porto a Bologna, si terrà l’incontro Feneen-  Viaggio nell’urban music senegalese, uno spettacolo di artisti italiani e senegalesi che, tra storie di vita e dj set, aprono spazi di viaggio e di incontro nella periferia di Dakar, dove la cultura hip-hop è strumento di trasformazione e riscatto sociale. L’evento si inserisce nell’ambito del progetto “MIGRA – Migrazioni, Impiego, Giovani, Resilienza, Auto-impresa” promosso dalle ONG italiane LVIA, CISV e COSPE e finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo. Feneen sarà uno degli incontri principali del Terra di Tutti Film Festival, decennale rassegna di cinema documentario promossa dalle ong  WeWorld e COSPE Onlus e appuntamento ormai affermato del cinema sociale dal sud del mondo.

In questa edizione, grazie al progetto MIGRA e alla presentazione in anteprima di Feneen ci sarà modo di scoprire una diversa visione del Senegal e della migrazione da quel paese. Protagonisti il rapper senegalese Lamine Barro (in arte Leuz Diwane G), il rapper italo-senegalese Oumar Sall (in arte F.U.L.A, nella foto di apertura) e il producer Frank Sativa che discuteranno dei temi della migrazione, dell’accoglienza, del viaggio e della cultura, accompagnati dalle immagini di un documentario in produzione che sarà presentato in serata dalla regista Giulia Rosco.

L’incontro sarà una bella opportunità di scambio con la diaspora e nasce anche come occasione per condividere valori e obiettivi comuni, affrontare difficoltà e decostruire stereotipi attraverso le esperienze dirette dei protagonisti. Sia Leuz che Fula, come altri artisti, sono infatti figli della migrazione in maniera diretta o indiretta e sono oggi  voci di questo fenomeno, voci di denuncia. Condividono una conoscenza più approfondita e un’esperienza diretta rispetto ai temi della migrazione, partendo dal loro vissuto, da quello dei loro familiari e dei loro cari e lo fanno anche grazie ai loro testi e alla loro musica.

Conclusioni

È interessante paragonare la musica alla migrazione per sentirla più vicina a noi, nei suoi testi e nelle voci narranti. Come un essere umano che decide di emigrare, di conoscere nuove realtà e diverse culture, anche la musica in un certo senso emigra. Si muove in spazi internazionali, entra in mercati musicali sempre più competitivi e chiede di essere ascoltata. Una musica che quindi reclama il suo posto all’estero in un mondo sempre più globalizzato, artisti che emigrano o che semplicemente si spostano per dar voce alle loro idee, per condividere nuove visioni e per coinvolgere le rispettive comunità, parlando un po’ anche per loro attraverso le loro note e i loro testi.

Del resto, parlare di migrazione è molto più difficile di quanto si pensi. Non si tratta solo di traffici umani, di rotte o di numeri. Sono prima di tutto persone con un vissuto, con un trascorso che chiede giustizia in nome di sogni e speranze. È quindi necessario acquisire sempre più nuove conoscenze e nuove consapevolezze su quello che il fenomeno migratorio rappresenta e su quello che un viaggio migratorio è per l’altro, in un reciproco scambio di ascolto e attenzioni che possa far emergere false informazioni e dare un volto più reale al continente africano. E come meglio si potrebbe se non ascoltando i protagonisti?

(Valentina Geraci – Amistades)

Bibliografia e sitografia

  • Appert C. M. In Hip Hop Time: Music, Memory, and Social Change in Urban Senegal, Oxford University Press, 2018.
  • Appert C. M., On hybridity in African popular music: The case of Senegalese hip hop in Ethnomusicology 60.2, 2016.
  • Auzanneau M.,  Identitésafricaines: le rap comme lieu d’expression. Vol. 41. No. 163-164. Éditions de l’École des hautes études en sciences sociales, 2001.
  • Diop M. C., Le Sénégal des migrations. Mobilités, identités et sociétés, Paris, Karthala, 2008.
  • Lanzano C., Il ghetto, l’Africa, il mondo. Pratiche cosmopolite e tentazioni afrocentriche tra i giovani rapper di Dakar, 2008
  • Leymarie-Ortiz I., The griots of Senegal and change in Africa, 1979.
  • Piga A., Senegal: culture in divenire nell’Africa Occidentale, Serravalle, Aiep, 2013.
  • Toop D., Rap. Storia di una musica nera. Vol. 8. EDT srl, 1992.
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