Argentina, immigrati ostaggio del digitale

di Stefania Ragusa

Dal 2004 l’Argentina è il paese con le politiche migratorie più inclusive del mondo. Una legge approvata a larga maggioranza, infatti, riconosce il diritto a migrare – quale che sia la ragione – come diritto umano e vieta quindi, in assenza di reati penali passati in giudicato, le espulsioni di irregolari. Un passo avanti anche rispetto alla Dichiarazione universale dei diritti umani dell’Onu del 1948, che non contempla i diritti migratori.
Questo non significa certo che essere boliviano o paraguayano ed essere francese o italiano sia la stessa cosa, quando si cerca lavoro o si va a Dirección Nacional de Migraciones a rinnovare il permesso di soggiorno. Non mancano in Argentina le voci contro “quelli che non dovrebbero stare qui”, perché rubano il welfare (a cominciare dalla sanità e dall’università gratuite per tutti) ai cittadini che pagano le tasse. Ma almeno, le leggi per proteggere i diritti degli immigrati ci sono e sono chiare.
O forse c’erano, perché i quattro anni di governo (2016-2019) di una destra feroce, neoliberista sui temi economici, ma conservatrice sui diritti sociali, hanno di fatto snaturato lo spirito della legge del 2004. Già dal 2016, primo anno del mandato del presidente Mauricio Macri, ha prevalso un’interpretazione restrittiva delle norme. Nel 2017, poi, è stato creato il Radex, un dispositivo telematico che a livello ufficiale servirebbe a rendere più snello il processo di regolarizzazione degli immigrati, perché permette di effettuare online la maggiore parte delle pratiche.
Il procedimento consiste nel caricare i propri dati e documenti e aspettare una mail che conferma che sono stati valutati e che la richiesta di radicazione è stata accettata. Solo allora si andrà con i “fogli di carta” sul posto, per completare l’operazione, dato che l’Argentina è uno dei pochi stati al mondo che permette la radicazione, senza uscire dal paese, a chi è entrato con un visto turistico e poi ha trovato lavoro o si è iscritto a un corso di studi.
Apparentemente, si tratta di uno strumento digitale in grado di velocizzare le operazioni, ma per molti immigrati si è trasformato in un incubo. Il sistema infatti dialoga altri database del ministero dell’Interno per individuare persone irregolari, ma è particolarmente soggetto a “falsi positivi”, quasi tutti sospettosamente provenienti da paesi “impopolari”, come il Paraguay o la Bolivia. Così risulta che qualcuno sia entrato in modo irregolare e quindi il permesso di soggiorno viene negato (cosa di per sé contraria alla legge); oppure capita che immigrati regolari presenti da anni sul territorio vengano cancellati dalle liste anagrafiche, perdendo quindi il diritto a ricevere sussidi sociali.
Di situazioni di questo tipo di occupa Atajo (Agenzia Territoriale di Accesso alla Giustizia, https://www.buenosaires.gob.ar/guiajuridicagratuita/agencias-territoriales-de-acceso-la-justicia-atajo), una sorta di Difensore civico mobile creato dal Gobierno della città autonoma di Buenos Aiures per favorire l’accesso alla giustizia a persone in situazioni di vulnerabilità. Gli avvocati vanno personalmente nei quartieri più marginali, spiegano alle persone come fare valere i propri diritti e, nelle situazioni più complesse, prendono in carico personalmente il caso.
Uscire da quello che sembra un semplice “errore di sistema” non è per nulla facile, anche se magari l’immigrato in questione può dimostrare con testimoni la sua presenza in Argentina in una certa data. Perché i giudici tendono ad archiviare i casi come “questioni amministrative” e nelle pubbliche amministrazioni nessun funzionario si assume la responsabilità di alterare il sistema davanti alle dichiarazioni di un testimone.
La situazione è stata denunciata, oltre che dai difensori civici, anche dalla Pastorale de Migraciones di Neuquen (nel Sud del paese), legata alla Chiesa cattolica. Il fatto che non sia più possibile avviare le pratiche migratorie allo sportello esclude tutte le persone che non sanno usare Internet o non hanno un accesso alla Rete. Il sospetto è che si tratti di un metodo deliberato per insidiare ed espellere i migranti in situazione di vulnerabilità. Sicuramente crea un ambiente ostile. E se è facile perdere un diritto per l’errore di una app, diventa molto difficile farselo restituire in tempi brevi.
La speranza è che il nuovo governo, insediato a dicembre 2019, intervenga per eliminare questi abusi e facilitare l’accesso di tutti al servizio.
Secondo il governo precedente, il Radex si era reso necessario dopo l’ondata di venezuelani che per effetto della crisi economica nel loro paese si sono trasferiti in Argentina e che rischiavano di mandare in tilt gli uffici di Migraciones. In realtà i numeri sono relativamente ridotti. Nel 2017, le richieste di residenza da parte di venezuelani (per studio, lavoro, matrimonio…) sono state appena 36mila 413. Ma il 67 per cento di queste persone è costituito da professionisti, che facevano gola a Macri, tanto da lasciargli un canale preferenziale a Migraciones e consentirne la regolarizzazione anche in assenza della documentaione richiesta a tutti gli altri. I venezuelani poveri (la vera massa critica) si riversano in Brasile o in Colombia, utilizzando le frontiere terrestri.
Si ripete insomma il vecchio paradosso dell’Argentina, presente fin dalla seconda metà dell’Ottocento, quando da una parte si invitavano i professionisti europei a trasferirsi per costruire uno stato economicamente forte, ricco di capitale umano. Dall’altra si rendeva la vita difficilissima agli immigrati “non graditi”: ebrei, anarchici, socialisti, ieri; oggi, boliviani e paraguayani.

(Francesca Capelli)

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