Anni di piombo, quella strada che portava dall’Italia in Africa

di Enrico Casale
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È morto portandosi dietro tutti i suoi segreti. I segreti di uno dei periodi più neri della storia italiana, quello della strage di Piazza Fontana, di piazza della Loggia, della P2, della strategia della tensione, delle bombe sui treni e nelle stazioni. Gianadelio Maletti avrebbe compiuto 100 anni fra quattro mesi e avrebbe voluto essere sepolto a Milano, città dov’era nato nel 1921. Invece è morto in Sudafrica, in esilio, impossibilitato a tornare perché in Italia avrebbe dovuto scontare alcune pene per depistaggi.

Gianadelio Maletti era figlio di Pietro, anche lui generale, autore del massacro di Debre Libanos (Etiopia) dove, per rappresaglia dopo un attentato al maresciallo Rodolfo Graziani, sterminò tutto il clero di un monastero (eliminando circa duemila persone). Come il padre anche Gianadelio intraprese la carriera militare. La svolta nella sua vita fu la nomina al Sid, il servizio segreto militare di allora. Vi approdò alla fine del 1971. A capo del controspionaggio incrociò le inchieste di piazza Fontana, poi della strage di piazza della Loggia. Fu coinvolto nello scandalo della Loggia P2 (anche se ha sempre detto di non averne fatto parte). Per la bomba del 12 dicembre 1969 e l’espatrio clandestino del sospettato Marco Pozzan, Maletti finì a processo a Catanzaro, quando dal Sid era già stato destituito. Prese 4 anni in primo grado, 2 in appello, macchia incancellabile. Fuggì a Johannesburg nel 1980 e da lì, tra interrogatori in rogatoria e interviste a cronisti transoceanici, distillò qualcuna delle sue verità e molti non ricordo. In Africa si rifece una vita e prese addirittura la cittadinanza sudafricana che lo garantì da una possibile estradizione in Italia.

Ma Maletti non è stato l’unico protagonista di quella stagione a trovare in Africa un rifugio dalle inchieste. Secondo Gnosis, la rivista dell’Aise (servizi segreti interni), le Brigate Rosse avevano creato una rete internazionale per i propri militanti in fuga dall’Italia. Oltre agli appoggi in Svizzera e in Francia, i brigatisti avevano stretto alleanze con alcuni Paesi africani. Sempre secondo quanto riporta Gnosis, certamente c’erano collegamenti con l’Angola, ma probabilmente c’erano altre “vie di fuga”. Si parla di alleanze con i governi dello Zimbabwe (che, quando si chiamava ancora Rhodesia, aveva ospitato terroristi neri), ma anche Burkina Faso, Libia e Mozambico. Altre fonti riferiscono anche di presenze in Kenya.

Dopo gli ultimi arresti avvenuti in Francia ad aprile di ex terroristi rossi, il Centro ricerca sicurezza e terrorismo (Crst) diretto da Ranieri Razzante, ha segnalato una trentina di figure di spicco di Brigate Rosse, Prima Linea, Ncc, Potere Operaio, Lotta Continua, Autonomia Operaia in Francia, un’altra ventina sarebbero sparse tra Nicaragua, Brasile, Argentina, Cuba, Libia, Angola, Algeria. Le loro biografie sono contenute in un volume che la Direzione centrale della polizia criminale tiene costantemente aggiornato. Per molti di essi sta per scattare la prescrizione di reati che ormai risalgono a una quarantina di anni fa.

(Enrico Casale)

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