Alle origini della civiltà swahili, un incontro tra Asia e Africa

di claudia
Swahili

di Enrico Casale

Che la civiltà swahili, sviluppatasi sulla costa orientale dell’Africa, fosse il frutto dell’incontro tra più popoli, era cosa nota. Ora però arriva la conferma di questa tesi. Un esame del Dna sui resti di membri della civiltà swahili medievale ha rivelato che geni africani e asiatici erano presenti nei loro corpi. Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature, è stato condotto da un team internazionale di ricercatori che ha sequenziato il Dna di 80 persone che vivevano in diverse aree swahili dal 1250 al 1800 d.C.

Le analisi hanno messo in evidenza che dal 1000 d.C., la metà del Dna proveniva da migranti prevalentemente maschi dall’Asia sudoccidentale: il 90% dalla Persia e il 10% dall’India. L’altra metà era quasi interamente costituita da Dna di donne africane. Dopo il 1500 d.C., la maggior parte del contributo genetico asiatico derivava da persone di origine araba.

Questo studio conferma antiche storie orali sull’ascendenza asiatica del popolo swahili, oltre a risolvere una controversia che risaliva ai tempi coloniali su quanto gli africani abbiano contribuito alla civiltà swahili.

A partire dal VII secolo d.C., la civiltà swahili ha iniziato a svilupparsi nelle regioni costiere dell’odierno Kenya, Tanzania, Somalia meridionale, Mozambico settentrionale, Madagascar e gli arcipelaghi delle Comore e di Zanzibar. Tutt’oggi, milioni di persone moderne lungo queste coste si identificano come swahili e ne parlano l’idioma. Lo studio di Nature, conferma la Kilwa Chronicle, che è stata tramandata per secoli nelle storie orali swahili e racconta di migranti persiani che arrivarono dal 1000 d.C. Fu anche da questo periodo che l’Islam divenne la religione dominante nella regione. Gli autori hanno sottolineato che lo studio ha anche dimostrato che i segni distintivi della civiltà swahili sono antecedenti agli arrivi dall’estero.

Chapurukha Kusimba, un antropologo della University of South Florida, ha dichiarato ad Afp che la ricerca è stata “il momento clou della mia carriera”. Kusimba ha affermato che gli archeologi dell’era coloniale sembravano credere che gli africani “non avessero la capacità mentale” di costruire infrastrutture swahili medievali come i cimiteri, attribuendo invece esclusivamente credito all’influenza straniera. Ricerche più recenti hanno dimostrato che il 95% del materiale recuperato dai siti archeologici swahili era del posto e la stessa archietettura era autoctona. Ha aggiunto che l’ultimo studio ha mostrato “l’africanità dello swahili, senza marginalizzare il legame persiano e indiano”.

David Reich, coautore dello studio e genetista presso l’Università di Harvard, ha affermato in una dichiarazione che “il Dna antico ci ha permesso di affrontare una controversia di lunga data che non poteva essere testata senza dati genetici di questi tempi e luoghi”. Le prove del Dna mostrano che la mescolanza era per lo più uomini persiani che avevano figli con donne africane. Questo non indica necessariamente “sfruttamento sessuale”, ma è probabile che “gli uomini persiani si alleassero e si sposassero con famiglie di commercianti locali e adottassero usanze locali per ampliare i commerci”.

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