Alle Nazioni Unite parola ai golpisti, ma non a tutti

di claudia

di Maria Scaffidi

Gabon, Guinea e Sudan. Mali, Burkina Faso e Niger. Il comune denominatore di questi sei Paesi africani è di essere stati teatro di recenti golpe militari. La differenza è che i primi tre sono presenti in questi giorni all’Assemblea generale dell’Onu, mentre i tre Paesi saheliani non compaiono nell’agenda degli interventi in programma.

Il capo dell’esercito del Sudan e leader de facto del Paese, il generale Abdel Fattah al-Burhan, si è presentato a New York in giacca e cravatta. E ha avvertito le Nazioni Unite che la guerra in corso da mesi nel Paese contro i paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf) potrebbe estendersi nella regione. “Il pericolo di questa guerra è ora una minaccia alla pace e alla sicurezza regionale e internazionale poiché questi ribelli hanno cercato il sostegno di fuorilegge e gruppi terroristici provenienti da diversi Paesi della regione e del mondo”, ha affermato al-Burhan evitando di citare i russi di Wagner che starebbero appunto dalla parte di Mohamed Hamdan Dagalo, il leader delle Rsf. Ed evitando di dire che Dagalo era suo “socio” almeno fino allo scorso aprile nella gestione del potere e nelle responsabilità del golpe che aveva messo fine al governo civile.

Rivolgendosi ai suoi colleghi in abiti tradizionali, un altro militare ora alla guida della Guinea, il colonnello Mamady Doumbouya, (nella foto) ha invece affermato che il modello occidentale di democrazia non funziona in Africa, difendendo il ricorso all’intervento militare. Il continente soffre di un “modello di governance che ci è stato imposto” e che “ha difficoltà ad adattarsi alla nostra realtà” ha aggiunto Doumbouya che ha preso il potere nel 2021 spodestando l’allora capo di Stato Alpha Condé.

Prima ancora del suo intervento, in un’intervista a France24, il primo ministro di transizione gabonese Raymond Ndong Sima – nominato dopo il golpe di alcune settimane fa condotto dal generale Brice Oligui Nguema – ha infine definito l’azione dei militari nel suo Paese “un colpo di stato benefico”.

A fronte di questi tre interventi, sono rimasti invece vuoti gli scranni di Burkina Faso, Mali e Niger, che solo qualche giorno fa si sono uniti in una Alleanza del Sahel, ufficialmente costituita per far fronte alle rispettive minacce interne (presenza di vari gruppi ribelli) ma anche a ventilati interventi esterni.

Leggendo però la Guest list dei relatori arrivati per la 78ma sessione dell’Assemblea generale dell’Onu, si resta colpiti dalle tante assenze di rilievo: tralasciando i leader cinese e russo, “tradizionalmente” assenti, mancavano anche il premier britannico Rishi Sunak e il presidente francese Emmanuel Macron: facendo la somma quattro dei cinque componenti che hanno diritto di veto al Consiglio di sicurezza hanno snobbato l’evento, con il quinto, Joe Biden, che gioca in casa, presente.

La sensazione, secondo diversi osservatori, è che le Nazioni Unite stiano perdendo il ruolo di principale piattaforma per il multilateralismo a favore di associazioni più piccole ma meno divise come il G7, il G20, il Brics. 

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