A Kabwe, in Zambia, i bambini muoiono avvelenati dal piombo

di AFRICA

Per oltre un secolo, dalle miniere di Kabwe sono state estratte montagne di metalli strategici. L’aria e l’acqua della città sono diventate tossiche. A farne le spese, gli abitanti più piccoli.

1902. Nelle vicinanze di Kabwe vengono scoperti ingenti quantitativi di piombo. Questa città zambiana, che oggi conta più di 250.000 abitanti, all’epoca faceva parte della colonia britannica chiamata Rhodesia Settentrionale, e le autorità del tempo da subito iniziarono lo sfruttamento intensivo dei giacimenti, senza farsi domande sulle conseguenze nel futuro. Negli anni successivi, l’estrazione di piombo, cadmio, manganese e titanio si intensificò. Nel 1906 venne fatta costruire una ferrovia per il trasporto dei minerali, e la miniera rimase attiva fino al 1994, anno in cui cessarono ufficialmente le attività perché ritenute poco economiche, ma la gente a mani nude proseguì e continuò a scavare.

Migliaia di vittime

Un secolo di estrazione mineraria ha trasformato la cittadina nel posto più inquinato al mondo. Oggi Kabwe vanta il triste primato della tossicità nell’intero pianeta: a venti chilometri dal centro abitato l’acqua è ancora imbevibile a causa dell’altissima presenza di metalli, ma l’aspetto più tragico dell’eccessiva concentrazione di piombo nell’aria, nel sottosuolo, in ogni dove, è che essa ha minato l’avvenire di generazioni di bambini. «Sono stato probabilmente in venti luoghi tossici in tutto il mondo, vedendo molti siti contaminati dal mercurio, dal cromo e dal piombo, ma posso dire che i livelli di Kabwe sono senza eguali», racconta il professore Jack Caravanos, esperto di salute ambientale presso la New York University, che ha visitato la cittadina mineraria, situata a soli cento chilometri dalla capitale Lusaka: «Qui le persone vittima dell’inquinamento sono migliaia, non centinaia come altrove».

Metallo killer

Il male che sta falcidiando la popolazione di Kabwe, e soprattutto ragazzi e bambini, è il piombo. I livelli del metallo sono, in media, cinque o dieci volte più elevati rispetto ai livelli ammessi dall’agenzia statunitense per la protezione dell’ambiente, e sono anche così alti da uccidere. In proposito, il professor Caravanos spiega che l’avvelenamento da piombo rimane nel corpo per tutta la vita e non può essere «espulso». Dopo aver constatato i livelli di piombo così alti e comuni presso i bambini, l’accademico ha affermato: «Sono molto diffusi i problemi sanitari gravi che questo metallo provoca, inclusi i danni al cervello, la paralisi e, tragicamente, anche i decessi».

I racconti della gente di Kabwe sono scioccanti: alcuni parlano di bambini con danni cerebrali, altri con paresi e cecità­ – tutti sintomi dell’avvelenamento da piombo­ – e altri ancora sostengono come il rendimento scolastico e la capacità di concentrazione dei piccoli che vivono qui siano inferiori rispetto alle capacità dei loro coetanei di altrove. Come se il piombo stesse colpendo il sistema nervoso e il cervello di un’intera generazione, determinando problemi in ogni aspetto della vita.

Corsa contro il tempo

A dare la conferma scientifica della gravità della situazione c’è uno studio che ha analizzato la presenza di piombo in 246 bambini, in tutti al di sopra del limite di sicurezza di 5 microgrammi per decilitro di sangue (la stragrande maggioranza era oltre i 45 microgrammi: una quantità tale da causare danni al cervello, al fegato e all’udito), e otto bambini sono risultati avere un tasso di piombo di oltre 150 microgrammi per decilitro: per loro la morte è quasi una certezza.

Tuttavia, nel 2015, 113 anni dopo l’apertura della prima vena mineraria, alcune ong hanno iniziato a intervenite. Più di 120 case sono state bonificate e adesso la Banca Mondiale ha dato il via libera allo stanziamento di 40 milioni di dollari per un lavoro di bonifica del luogo, oltre che per un lavoro terapeutico su tutti coloro con livelli di piombo nel sangue eccessivi. Il piano è in attesa solo del nullaosta del governo di Lusaka. La speranza è che questa volta non sia la burocrazia a creare un ulteriore ostacolo alla risoluzione di una situazione con un disperato e urgente bisogno di interventi.

(di Daniele Bellocchio)

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