Tanzania, a caccia di topi

di claudia

di Andrea Spinelli Barrile – foto di Simon Townsley / Panos

Progetto sperimentale in Tanzania per l’abbattimento dei roditori responsabili di micidiali malattie. Ogni anno nel mondo i topi sono causa di 400 milioni di infezioni batteriche e virali. Mai come oggi, con il boom del numero di ratti nelle città, si fa strada la minaccia di nuove epidemie causate da questi roditori. In Tanzania gli scienziati cercano soluzioni

Uomini e topi vivono insieme da prima ancora che i gatti venissero domesticati, da circa 15.000 anni. È stata la sedentarietà delle comunità umane, unita alla diffusione dell’agricoltura, a rappresentare l’inizio di questa lunga convivenza, quando i roditori iniziarono ad approfittare delle provviste stipate nei granai. Una convivenza che, nel corso dei millenni, non ha sciolto la repulsione generale dell’essere umano nei confronti dei roditori, forse anche per via delle numerose epidemie che, nella storia, si sono trasmesse grazie ai topi, utilizzati da virus e batteri come vettori perfetti. «I ratti sono sentinelle per le malattie umane», spiega il dottor Ian Lipkin, direttore del Centro per le infezioni e l’immunità della Columbia University: «Ovunque vadano, raccolgono microbi e li amplificano. E poiché questi animali vivono vicino alle persone, ci sono ampie opportunità di scambio».

Emergenza globale

Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, i ratti sono responsabili, ogni anno, di più di 400 milioni di infezioni nelle persone, diffuse attraverso i morsi, le pulci che trasportano, l’urina e gli aerosol.

A Glasgow, in Scozia, i lavoratori del settore dei rifiuti hanno recentemente avvertito della presenza di una “piaga moderna”, riferendosi al numero di roditori presenti in città. A New York gli avvistamenti sono saliti a oltre 21.000 nell’ultimo anno (in forte aumento rispetto ai 15.000 nel 2019). Lo stesso accade a Roma, dove si stima la presenza di 10 milioni di roditori, sette per ogni abitante umano della città.

Il problema è condiviso anche ad altre latitudini, dove, nel mondo in via di sviluppo, le malattie trasmesse dai roditori sono un problema ancora maggiore, a causa della scarsa qualità degli alloggi e dei servizi igienico-sanitari.

La Tanzania, per esempio, si trova a dover oggi affrontare una vera e propria proliferazione di topi, nelle città come nelle zone rurali, i quali rischiano di diventare vettori perfetti per nuove epidemie.

L’incubo della peste

In varie specie di ratti ci sono più di 60 agenti patogeni che possono infettare l’uomo, tra cui febbri emorragiche, coronavirus, hantavirus e arenavirus, insieme a centinaia di agenti patogeni a oggi sconosciuti. I ratti sono il vettore della febbre di Lassa, una malattia virale acuta simile all’ebola che infetta ogni anno fino a 300.000 persone solo in Africa occidentale, regione dove ha un’incidenza maggiore, causando circa 5.000 morti. Le loro pulci sono anche responsabili di regolari epidemie di peste bubbonica in numerosi Paesi di tutto il mondo, in particolare in Madagascar, dove la malattia è endemica.

Cinque anni fa, proprio in Madagascar ci fu l’ultima grande epidemia di peste, trasformatasi nella grande paura per gli scienziati: la cosiddetta peste polmonare, che si diffonde da uomo a uomo. Dopo aver raggiunto la capitale dell’isola alla fine si esaurì, ma non prima di aver ucciso almeno 209 persone.

Una bambia tiene in mano l’uniforme scolastica di suo fratello che è stata distrutta dai topi, villaggio di Mkula

Progetto di bonifica

La pericolosità di questi vettori patogeni è al centro di un progetto di bonifica messo in atto da Steve Belmain, il primo progetto di questo tipo al mondo, in fase di lancio in Madagascar e Tanzania. L’obiettivo è, attraverso l’abbattimento selettivo dei roditori, cacciarli dalle case e dai villaggi al fine di ridurre i tassi di malattie. Non si tratta esattamente di un piano di eradicazione, quanto piuttosto di gestione sostenibile. Belmain lavora al Natural Resources Institute della Greenwich University e, cappello a tesa larga e trench impermeabile tipicamente britannico, gira di villaggio in villaggio per la Tanzania e il Madagascar, quasi fosse un novello pifferaio magico alla ricerca di topi. Con il suo team, Belmain ha identificato due gruppi di 12 villaggi rurali in Tanzania e Madagascar: in ciascun Paese, a sei di questi villaggi vengono fornite 5.000 trappole per topi nel tentativo di eliminarli dalle abitazioni, mentre gli altri sei vengono lasciati come controllo.

In Tanzania i ricercatori si sono concentrati particolarmente sulla leptospirosi, batterio che si diffonde attraverso l’urina del ratto e che si ritiene causi circa 1 milione di casi e 60.000 morti all’anno, cifra che si crede essere una sottostima importante, in quanto viene spesso diagnosticata, erroneamente, come malaria; i ceppi più letali possono avere un tasso di mortalità di circa il 40%. Si pensa che i topi siano arrivati ​in Tanzania intorno al XIV secolo a bordo dei dhow dei mercanti arabi che attraversavano l’Oceano Indiano.

Caccia e contraccezione

Se il progetto di Belmain si concentra sulle zone rurali e sui villaggi, che confinano con vasti paesaggi agricoli brulicanti di topi ma sempre meno popolati dagli umani, che si trasferiscono nelle aree urbane, c’è una particolare preoccupazione per la vicinanza tra persone e roditori nelle baraccopoli urbane. A Morogoro, a Chamwino, ad Arusha e Lushoto, aree urbane in forte espansione, il professor Rhodes Makundi, un ricercatore sui roditori della Sokoine University coinvolto nel progetto del britannico Belmain, ha detto che negli ultimi anni i suoi scienziati hanno scoperto diverse nuove malattie simili alla febbre di Lassa tra i ratti, tra cui i virus Gairo e Morogoro. E hanno fatto altre scoperte preoccupanti, come l’evidenza che i batteri che causano il leptovirus sono presenti fino al 30% di alcune specie di roditori.

Il progetto di Belmain non riguarda però solo la caccia e il conseguente uso di trappole, ma anche le politiche antiproliferazione: c’è un lavoro di laboratorio pionieristico in corso in Cina e alla Sokoine University in Tanzania sull’uso di ormoni per ridurre i tassi di riproduzione prolifica dei ratti, e Belmain crede che col tempo questa potrebbe essere una strategia di successo. Fino a quel momento, però, i roditori continueranno a rappresentare un grosso rischio per la salute pubblica. La prossima epidemia zoonotica è dietro l’angolo: «Se improvvisamente si crea una situazione ambientale, attraverso la produzione alimentare o la produzione di rifiuti, che faciliti la densità dei roditori, allora stiamo creando la tempesta perfetta per la trasmissione di malattie da parte dei topi», ha detto Belmain.

Una malattia misteriosa

Intanto, il governo tanzaniano ha annunciato di aver identificato la “misteriosa malattia” che ha causato la morte di tre persone nel sud-est del Paese. Per settimane le ipotesi sono state le più svariate: dalla magia al mistero, fino a febbri fulminanti, infarti, ictus. Si trattava di leptospirosi, malattia spesso benigna per l’uomo, a eccezione dei casi di insufficienza renale. Nel luglio del 2022, nella regione di Lindi sono stati rilevati 20 casi di esseri umani infetti. La presidente della Tanzania Samia Suluhu Hassan ha riferito il 12 luglio 2022 che la «strana» malattia potrebbe essere stata causata da «aumentate interazioni» tra uomo e animali a causa del degrado ambientale, mentre il ministro della Sanità Ummy Mwalimu ha dichiarato che la malattia è stata causata da un batterio «espulso» da animali selvatici, come ratti o volpi, e trasmesso attraverso acqua o cibo contaminato dall’urina di questi animali.

«La cosa buona è che questa malattia è prevenibile e può essere curata», ha spiegato il ministro, invitando la popolazione a mantenere la calma. La maggior parte dei pazienti è guarita dalla leptospirosi, con sintomi come sangue dal naso, febbre, mal di testa e affaticamento. Ma il problema sembra essere solo rinviato.

Questo articolo è uscito sul numero 2/2023 della rivista Africa. Per acquistare una copia, clicca qui, o visita l’e-shop

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