Sudan, due mesi di violenze e promesse disattese

di Valentina Milani
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Di Tommaso Meo

Due mesi e pochi giorni di conflitto, più di 2.000 morti e 2,2 milioni di sfollati, di cui mezzo milione oltre confine e 25 milioni di persone bisognose di assistenza umanitaria. Sono i numeri impressionanti della crisi sudanese che esattamente a otto settimane dall’inizio della guerra per il potere tra esercito e paramilitari non sembra vedere una luce, nonostante gli sforzi di mediazione regionale e internazionale in atto.

Dopo diversi tentativi di cessate il fuoco, perlopiù falliti o non rispettati completamente, in questi giorni le violenze stanno crescendo soprattutto fuori dalla capitale Khartoum, finora epicentro dei combattimenti, e in particolare in Darfur, peggiorando una condizione già difficile per i civili che in quasi tutto il Paese stanno sopportando la mancanza di acqua, medicine, generi alimentari e corrente.

La situazione umanitaria in tutto il Paese continua a deteriorarsi, ha dichiarato ieri il capo dei soccorsi delle Nazioni Unite Martin Griffiths, osservando che nella regione del Darfur, a ovest del Sudan, sta degenerando in una calamità umanitaria. Qui centinaia di civili sono stati uccisi e migliaia sono stati feriti, mentre continuano i saccheggi di medicinali e aiuti umanitari. Nel Darfur si stanno diffondendo nuove violenze etniche commesse dalle forze paramilitari di supporto rapido (Rsf) e dalle milizie alleate e c’è il pericolo che si riaccendono le tensioni tra comunità arabe e non arabe che hanno alimentato il conflitto di 20 anni fa. Violenze che hanno portato il capo della missione Onu in Sudan, Volker Perthes, a denunciare possibili “crimini contro l’umanità” commessi nella regione del Darfur occidentale. Mercoledì è stato ucciso anche il governatore della regione Khamis Abbakar reo di aver accusato le Rsf e altre forze di essere colpevoli di un genocidio. A Khartoum, dove Rsf e forze armate combattono tra i palazzi dei civili dal 15 aprile scorso la situazione non è migliore. Interi quartieri sono stati distrutti e abbandonati. Dalla città sono fuggiti oltre un milione di abitanti. In molti si sono diretti verso Egitto, Etiopia e Ciad, spesso con difficoltà e sfidando molti pericoli. A peggiorare le cose, domenica il governo egiziano ha annunciato che renderà obbligatorio per tutti i sudanesi ottenere i visti prima di attraversare il confine.

Se il conflitto sul campo tra l’esercito guidato da Abdel Fattah al-Burhan, generale e leader de facto del Paese, e il suo ex vice Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemetti, a capo delle Rsf, non sta restituendo un chiaro vincitore dopo questi due mesi, nemmeno le mediazioni sembrano poter risolvere l’impasse nel breve termine. Dall’inizio del conflitto i membri della comunità internazionale hanno esercitato pressioni sulle parti in guerra per chiedere un cessate il fuoco. Il tentativo maggiore è stato quello promosso da Arabia Saudita e Stati Uniti che hanno mediato colloqui di “pre-negoziazione” nella città saudita di Gedda, ma un cessate il fuoco violato dopo l’altro è stato violato lo sforzo di mediazione non ha ottenuto i risultati sperati. Il 31 maggio l’esercito ha sospeso la sua partecipazione ai colloqui.

Si riunirà invece nei prossimi dieci giorni ad Addis Abeba, in Etiopia, un quartetto di nazioni dell’est Africa in rappresentanza dell’Igad (Autorità intergovernativa per lo sviluppo) per cercare soluzioni praticabili alla guerra in Sudan. Parteciperanno al vertice i leader di Kenya, Etiopia, Sud Sudan e Somalia, ma già ieri in una dichiarazione il ministero degli Esteri sudanese, controllato dall’esercito, ha accusato il Kenya di ospitare le Rsf e ha affermato di preferire la leadership sud-sudanese dell’iniziativa.

Intanto questa settimana il numero due del Consiglio sovrano sudanese, Malik Agar, nominato da al-Burhan in sostituzione di Hemetti, ha annunciato di aver concordato con i mediatori un incontro tra i comandanti dell’esercito e dei paramilitari. Questo incontro potrebbe essere il primo veramente risolutivo dall’inizio del conflitto, ma se c’è una cosa che la guerra in Sudan ha lasciato in questi due mesi oltre a morte e devastazione sono proprio le promesse disattese.

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