Lungo la Nazionale N3 che attraversa il Senegal la steppa africana luccica sotto il sole di mezzogiorno, ma non per i cristalli di silice nascosti nella sabbia, bensƬ per i frammenti di plastica che, nonostante la distanza dalle cittĆ , si trovano ovunque. La strada che porta a Matam, remota cittĆ del nord-est, ĆØ costellata di insegne che pubblicizzano caritatevoli progetti finanziati dalla cooperazione occidentale: centri di formazione, istituti professionali, pozzi. Ma se da un lato della carreggiata si possono leggere a caratteri cubitali i nomi dei grandi benefattori, dallāaltro lato i ragazzi, spesso bambini, passano le giornate al pascolo con le loro greggi invece di essere sui banchi di scuola e le ragazze, appena adolescenti, camminano per ore intere verso la fonte dāacqua più vicina. Qualche camion in panne e asini solitari che lentamente si spostano da un albero allāaltro in cerca di un poā dāombra fanno da contorno a questo scenario. Proprio non si capisce di cosa possano nutrirsi questi animali: non cāĆØ nulla da brucare e non ĆØ raro vedere qualche capra affamata intenta a ruminare un pezzo di carta o rifiuti di altro tipo. Le conseguenze di inquinamento e cambiamento climatico si stanno facendo sentire profondamente in questo angolo di mondo che, nonostante le sue grandi dimensioni, sembra essere dimenticato da tutti. Deficit idrico e temperature sopra la media stanno costringendo le popolazioni del Senegal orientale a cambiare abitudini e stile di vita per fronteggiare le difficoltĆ climatiche.Ā
Cacciatori d’acqua
I numerosi villaggi sorti nella regione sono abitati principalmente dallāetnia peul, allevatori seminomadi di piccoli ruminanti e zebù. La migrazione di questi pastori transumanti inizia generalmente verso i primi mesi dellāanno, ovvero quando nella pianura del Ferlo i pascoli sono ormai secchi e per le mandrie non cāĆØ quasi più erba. Solitamente dalle regioni di Saint-Louis, Louga e Matam si spostano a sud, verso Tambacounda e il Mali meridionale, alla ricerca di territori graziati da un clima leggermente più umido dove un poā di foraggio, se va bene, lo si trova. Questāanno i movimenti di bestiame sono iniziati addirittura a dicembre a causa della grave scarsitĆ dāacqua che ha caratterizzato il 2019. Negli ultimi quattro anni le piogge stanno arrivando sempre più tardi causando problemi molto seri sia a chi pratica lāagricoltura, settore che influisce con un buon 16% sul Pil nazionale, sia a chi pratica la pastorizia. Tali abitudini erratiche costringono i transumanti a lasciare donne e bambini nei villaggi e a partire per mesi di cammino. Qualche famiglia si sposta al seguito degli uomini e capita cosƬ di incrociare carretti trainati da un paio dāasini carichi di persone e bagagli.
Spirito di adattamento
Per adattarsi a questo complicato contesto ambientale i peul hanno sviluppatoĀ capacitĆ di adattamento che consentono loro di tollerare periodi prolungati senza lāassunzione di liquidi. Bevono poco e, se proprio sono in difficoltĆ , si avvicinano alle strade e attendono che un automobilista di buon cuore si accosti per condividere una bottiglia dāacqua. Quanto al mangiare, portano con sĆ© qualche scorta di cuscus di miglio, bagnato poi col latte dei loro animali. Per un peul non ĆØ un problema affrontare, a piedi, i cinquecento chilometri che separano Matam da Dakar, dove vanno a vendere il bestiame. Viaggiano di giorno come di notte. Sanno orientarsi nella steppa, cosa veramente difficile: il paesaggio ĆØ tutto uguale e non si hanno punti di riferimento. Ma i peul conoscono bene gli itinerari, li hanno creati loro, dopotutto.Ā
Resistere al coronavirusĀ Ā
Le due stagioni che caratterizzano il Senegal sono quella delle piogge (o hivernage) e la stagione secca. Tuttavia, a queste se ne sovrappone una terza, meno legata ai cicli naturali, ma altrettanto dirompente: ĆØ la cosiddetta soudure, ossia quel periodo dellāanno che va da giugno ad agosto e che precede la raccolta nei campi. Nel corso di questa faseĀ le riserve alimentari delle famiglie sono ormai agli sgoccioli e, inevitabilmente, salgono i casi di malnutrizione infantile.Ā Questāanno, oltre al contesto giĆ duro dovuto alla penuria dāacqua e allāavvicinarsi, appunto, della soudure, si sta aggiungendo anche lāemergenza sanitaria causata dalla pandemia di Covid-19. A oggi, il Senegal conta 545 contagi da coronavirus e questi dati, per un Paese dove le norme igieniche, per ovvie ragioni, raramente vengono rispettate, rappresentano quasi un miracolo (anche se per ora nulla si può dire circa lāevolversi della situazione futura). Una cosa però ĆØ certa: le conseguenze indirette della malattia si stanno ripercuotendo giĆ da oggi sulle comunitĆ locali in virtù dellāapplicazione delle misure di sicurezza previste dal governo. Tra queste, la chiusura delle frontiere, che sta iniziando ad avere effetti considerevoli sulle vite dei transumanti. Il blocco dei confini, a nord con la Mauritania e ad est con il Mali, sta obbligando i transumanti senegalesi e mauritani a concentrarsi un poā alla volta su spazi relativamente ridotti che dovranno essere condivisi con le comunitĆ locali dedite allāagricoltura. Ma cosa potrĆ comportare tale scenario?
Un modello da proteggere
Il Senegal, diversamente da quanto accade in molti altri Paesi della fascia saheliana dove la competizione per la terra causa spesso numerose vittime, solitamente non registra molti scontri tra agricoltori e allevatori. Infatti, i villaggi che si trovano lungo le rotte dei transumanti hanno istituito dei comitati di vigilanza (i comitĆ©s de veille) che hanno il compito di prevenire eventuali dinamiche violente. Tali comitati, con lāappoggio dei prefetti locali, definiscono il momento dellāanno in cui gli agricoltori devono lasciare i campi a disposizione delle mandrie e, dal momento che le tensioni si innescano quando gli allevatori accedono alla terra prima che il raccolto sia terminata, in questo modo si garantisce un equilibro tra le due parti. Tuttavia, se i confini dovessero rimanere chiusi ancora per molto, il Paese, oltre a dover fare i conti con lāimminente soudure, molto probabilmente dovrĆ presto gestire un nuovo tipo di tensione sociale legata alla limitazione degli spostamenti dei pastori nomadi e ad un inevitabile aumento dei conflitti per la terra.Ā
Animali sacri
Purtroppo, il nomadismo influisce negativamente su due aspetti principali della vita delle comunitĆ peul del Ferlo: istruzione e alimentazione. Lāistruzione scolastica ĆØ un aspetto molto trascurato. Per la scuola bisogna essere sedentari, servono strutture, continuitĆ . Molti peul non sanno nĆ© leggere nĆ© scrivere e non padroneggiano la lingua francese poichĆ© lo spostamento continuo ne impedisce lo studio. Chi rimane e non segue le mandrie nella lunga transumanza ĆØ occupato nella gestione quotidiana del villaggio, della casa e dei numerosi bambini cui accudire. Anche lāassunzione di alimenti variegati ĆØ ostacolata dalla precarietĆ tipica del viaggio: vengono privilegiati cibi semplici da trasportare, conservare e consumare. Nei villaggi i problemi di malnutrizione sono frequenti, anche se nella maggior parte dei casi non ĆØ il cibo a mancare ma lāapporto equilibrato di nutrienti di varia natura. La dieta dei peul si basa per lo più sui cereali, cosa che comporta spesso carenze vitaminiche, mentre le rare proteine assunte derivano dalla carne dei loro animali quando, e se, accettano di macellarli. Si dice che queste comunitĆ arrivino a uccidere e a vendere un animale solamente in casi di straordinaria necessitĆ e infatti al mercato ĆØ portato soprattutto bestiame non più in grado di riprodursi. Un peul che per sfortuna perde tutte le sue bestie, ad esempio per un furto, ĆØ capace anche di togliersi la vita. Ć veramente incredibile e difficile da comprendere e spiegare il legame che unisce questa etnia ai suoi animali.
Rimedi naturali
In quanto allevatori, i peul hanno nel sangue un legame molto forte anche con la terra, che conoscono come il palmo delle loro mani, e con la natura. Se stanno male sanno come curarsi con le poche erbe che i climi rigidi della steppa mettono a disposizione. Nel Ferlo cāĆØ poco o nulla. Per lo più specie erbacee e alberi spinosi dalle bacche amare chiamate soump o datteri del deserto, che pare trattino molto bene i problemi di pressione sanguigna.
I colori dei peul
Ć quasi un regalo incontrare i transumanti nel mezzo di queste pianure secche e polverose. Protetti da lunghe tuniche blu, hanno un aspetto regale. Vedere un pastore col suo bestiame al seguito, bastone in mano e capo coperto da un lungo turbante verde (kaala), giusto uno scorcio che lascia intravederne lo sguardo, lascia senza parole e non si può non pensare a Il tĆØ nel deserto di Bernardo Bertolucci.Ā Ā Un tratto distintivo che caratterizza i loro volti ĆØ una cicatrice a forma di 11 ai lati degli occhi. Incise un tempo per scongiurare problemi alla vista o mal di testa, continuano ad essere fatte per pura bellezza e senso di appartenenza al gruppo etnico, anche se cāĆØ chi sostiene che tuttāoggi i piccoli taglietti rendano più intelligenti e aperti sul mondo. Le donne non mancano di fascino con le loro labbra carnose tatuate di nero e le orecchie ricoperte di pendenti, accessori che rivelano un’usanza che risale alla antica necessitĆ di custodire i beni accumulati, poi convertiti in argento sotto forma di bracciali, cavigliere, collane e orecchini. Tuttavia, gli abiti colorati e le musiche improvvisate con una ciotola di metallo sembrano aver lo scopo di nascondere il grigiore della povertĆ nella quale vivono queste persone, giorno dopo giorno.Ā
Nelle mani delle donne
Nei villaggi peul il ruolo della donna ĆØ cercare lāacqua. Compito faticoso oltre che pericoloso. Se il villaggio ha la fortuna di disporre di un pozzo la fatica si ālimitaā allo sforzo fisico necessario per sollevare i pesanti secchi; in caso contrario ci si deve incamminare verso la fonte più vicina, spesso con un catino da venti, trenta litri sulla testa. Sono donne forti, spesso con un bambino legato alla schiena e un pancione. Ć per la determinazione delle donne che in varie localitĆ si stanno attivando promettenti progetti di agricoltura su piccola scala. Come a Thiamma, dove un gruppo di donne ha iniziato a prendersi cura di svariati appezzamenti di terra coltivati a ortaggi ed erbe aromatiche. Il raccolto ĆØ scarso, ma sufficiente per contribuire alla diversitĆ alimentare necessaria a scongiurare casi di malnutrizione, soprattutto infantile. Non ĆØ facile per un popolo che non pratica lāagricoltura iniziare ad autoprodurre alimenti mai utilizzati prima. Per un tale processo di apprendimento ci vogliono anni. Ć un principio alla base della resilienza sociale: non bisogna avere fretta e, se questo può aiutare ad alleviare la denutrizione che affligge queste comunitĆ , sicuramente vale la pena aspettare. Lāagricoltura ha anche lo straordinario potere di creare solidarietĆ tra le donne che si organizzano assieme per contribuire al benessere dellāintero villaggio. Ogni famiglia ha un suo piccolo terreno il cui raccolto ĆØ destinato allāautoconsumo, e in aggiunta viene gestita sinergicamente una porzione di terra comunitaria: i guadagni sono poi investiti nellāacquisto di nuovi semi e materiali o in progetti di microcredito. Le donne che accettano di farsi fotografare mostrano orgogliose i machete con cui arano, tagliano, raccolgono. Mani stanche, cariche di fatica, labbra secche e sorriso sfrontato di chi non si arrende mai.
(testo e foto di Lucia Michelini)
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