RD Congo | Si spera nella fine di Ebola in un contesto drammatico

di Valentina Milani

Potrebbe ripartire a breve il conto alla rovescia nella Repubblica Democratica del Congo per dichiarare ufficialmente il Paese Ebola Free, sperando di raggiungere questa volta il traguardo dei 42 giorni senza intoppi.

Domenica 26 aprile è infatti stato dimesso dall’ospedale di Beni l’ultimo paziente: si tratta della bimba di sette anni che era stata ricoverata il 13 aprile, proprio quando si era sull’orlo di annunciare la fine dell’epidemia che dall’agosto del 2018 ha ucciso 2300 persone. Vi è però un problema: un paziente che sarebbe dovuto restare in quarantena è fuggito, ritardando così l’inizio del countdown. Sperando che non insorgano nuovi casi, una volta trovato l’uomo si potrà intraprendere la strada del lungo conteggio.

Tutto ciò in un contesto politico e sanitario che rimane, purtroppo, drammatico. La Repubblica Democratica del Congo potrebbe essere uno dei Paesi più sereni al mondo grazie alle ricchezze che custodisce nel proprio sottosuolo ma, si sa, non è così. Anzi, la nazione dell’Africa centrale è costantemente presa in ostaggio da un male dopo l’altro e in questo momento storico, tragico per il mondo intero, sembra quasi essere soffocata dai problemi.

L’emergenza Covid-19, che conta ad ora 459 casi accertati (e dichiarati) e 28 morti, si va infatti ad aggiungere a una serie di altre emergenze più o meno recenti, spesso poco considerate dai media.
A fare da ‘cornice’ a Ebola e al Coronavirus, vi è in fatti il morbillo che da diversi mesi sta mietendo vittime: dal 1° gennaio 2019 al 20 febbraio 2020, secondo le statistiche dell’Oms, la nazione dell’Africa centrale ha registrato 335.413 casi sospetti e 6.362 decessi. Fortunatamente ha preso il via ieri, lunedì 27 aprile, nella zona sanitaria di Beni (Kivu settentrionale) la campagna di vaccinazione per i bambini di età compresa tra zero e cinque anni. Si rivolge a venticinquemila bambini nelle aree sanitarie di Kasabinyole, Kanzulinzuli, Madrandele, Tuungane e Malepe. Il via ufficiale è stato dato al Kanzuli Health Centre, nella zona sanitaria che porta lo stesso nome. Hanno partecipato le autorità amministrative, il responsabile medico distrettuale, i partner sanitari, tra cui il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (UNICEF) e il team di risposta all’Ebola. La campagna di vaccinazione si concluderà alla fine della settimana in corso.

Una buona notizia certo, che però sembra non bastare di fronte alle numerose altre insidie sanitarie: la RDC deve infatti fare costantemente i conti con il colera che, lo scorso anno, ha colpito oltre 30.000 persone; e con la malaria di cui nel 2019 si sono registrati 16.5 milioni di casi.

In una situazione così drammatica su più fronti un ruolo fondamentale dovrebbe svolgerlo il sistema sanitario del Paese che, invece, è colmo di lacune. Nella Repubblica Democratica del Congo solo il 28 per cento della popolazione, secondo i dati dell’Onu, usufruisce di strutture adeguate. Generalmente difficoltoso in tutto il Paese, l’accesso alle cure mediche diventa impossibile per gli abitanti di quei villaggi inghiottiti dalla giungla che ricopre vaste porzioni di territorio all’interno di un Paese grande quasi quanto l’Europa occidentale. Nei villaggi sperduti, disseminati per esempio sulle rive del maestoso fiume Congo, la gente si ammala di malaria, malnutrizione, morbillo, colera, febbre gialla, meningite, tifo. E muore. Perché sono malattie che se non vengono curate, soprattutto se sommate l’una all’altra, non risparmiano nessuno.

«Il ministero della Salute non investe in infrastrutture e personale. Noi spesso non riceviamo lo stipendio, siamo pertanto costretti a far pagare le visite: dai 7.000 ai 15.000 franchi congolesi, 3-8 euro circa. Ma in tanti non possono permettersele», ha dichiarato a noi di Africa un medico statale operativo in uno dei villaggi più remoti della RDC. Così le famiglie ricorrono alla medicina tradizionale e si rivolgono agli ospedali solo quando possono usufruire di cure mediche gratuite. Spesso quando è ormai troppo tardi.

Una condizione sanitaria tragica che si va a sommare all’ormai decennale situazione di instabilità che investe la regione del nord Kivu e i territori nord orientali del Paese. E’ di pochi giorni fa la notizia dell’uccisione di almeno 12 ranger assassinati dalle Forze democratiche per la liberazione del Ruanda (Fdlr) nel Parco nazionale Virunga: uno degli attacchi più drammatici della storia recente. Dalla fine del 2017, inoltre, più di 700 civili sono stati uccisi nella vicina provincia dell’Ituri in una violenza degna di un “crimine contro l’umanità”, come hanno affermato le Nazioni Unite nel mese di gennaio.

Proprio nel Kivu, peraltro, si è registrato il focolaio di Ebola e, nelle province meridionali della medesima regione, dal 16 al 19 aprile pesanti piogge torrenziali hanno sommerso le cittadine di Uvira, Kalemie-Kirungu, Manono, Kongolo, Kamina e Goma causando decine di morti.

In tutto ciò, l’attuale presidente Félix Tshisekedi sembra più che altro concentrato a tutelare i propri interessi. Come sempre del resto, ma oggi ancor di più viste le incertezze economiche provocate dal dilagare del Covid-19 che ha determinato lo stop delle attività di estrazione nell’Alto Katanga, dove numerose multinazionali straniere sono attive nell’estrazione del cobalto e non solo.

Insomma, un vero e proprio gomitolo aggrovigliato di problemi che sembra difficile da districare e che continua a far soffrire la maggior parte della popolazione congolese.

(Foto e testo Valentina Giulia Milani)

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