RD Congo. La strage senza fine dei ranger dei Virunga

di Marco Trovato

Si allunga la striscia di sangue e il tributo di vite umane tra i ranger del Parco dei Monti Virunga, sede degli ultimi gorilla di montagna, nell’est della Repubblica Democratica del Congo. Nella giornata di ieri un gruppo di uomini armati ha attaccato i ranger del parco: almeno sei uomini sono stati uccisi, e altri sono stati feriti. L’attacco è avvenuto nella regione di Nyamitwitwi, al centro della riserva naturale, che si trova a pochi chilometri da Uganda e Ruanda.

Virunga è il parco nazionale dell’Africa più antico e il più esteso: fu fondato dalle autorità coloniali del Belgio nel 1925, occupa un’area grande 7.800 chilometri quadrati (più di due volte la Valle d’Aosta) e ospita più della metà della popolazione globale di gorilla di montagna, una specie a rischio di estinzione, oltre che diverse altre specie rare.

Dalla fondazione del parco a oggi, sono stati uccisi oltre duecento ranger, in gran parte a datare dalla guerra del 1996-97. Quello di ieri è solo l’ultimo di una scia di raid mortali condotti da cacciatori di frodo, miliziani armati, trafficanti. Lo scorso 10 ottobre, un ranger di nome Déogène Bagurumwechuhoze era morto nel corso di un attacco dei ribelli hutu dell’Fdlr presso il villaggio di Sarambwe, nel Nord-Kivu. Vicino a Rumangabo erano periti in un’imboscata, il 24 aprile, altri tredici ranger. Il 15 aprile 2014, il capo stesso delle guardie dei Virunga, il direttore belga Emmanuel de Merode, colpito da tre proiettili in un’imboscata tesa da uomini in tenuta militare a trenta chilometri da Goma, sfuggì alla morte per un soffio.

Nel Parco nazionale dei Virunga (quasi 8.000 chilometri quadrati), i gorilla di montagna (Gorilla beringei beringei) e i loro angeli custodi, i ranger, sono sotto assedio e gli incidenti mortali sono frequenti. Oggi le guardie forestali dei Virunga sono più di 700 (tra cui una trentina di donne). Grazie all’impegno dei ranger, il numero dei gorilla di montagna è cresciuto, secondo il Wwf, da 480 a 604 nel periodo 2010-18. La specie è comunque in pericolo. I grandi primati sono esposti a un gran numero di minacce, non ultime le malattie infettive favorite dalla presenza umana.

I gruppi armati, congolesi o stranieri, rappresentano una minaccia costante. Tra essi, i Mai-Mai Nyatura, l’Alleanza delle forze di resistenza congolese, due fazioni delle Forze democratiche per la liberazione del Rwanda (Fdlr), come pure le Allied Democratic Forces (Adf) costituitesi in Uganda.

Nel 2019 le ecoguardie hanno distrutto 380 trappole nel solo Parco dei Virunga – in tempo, però, per soccorrere solo una piccola percentuale degli animali catturati.

Il tasso di deforestazione è considerevole: secondo il Wwf, attorno all’1% annuo. Il business del legno e della carbonella vegetale (unico combustibile per gran parte della popolazione, povera e priva di accesso all’elettricità) è controllato da gruppi armati, per un giro d’affari di circa 50 milioni di dollari l’anno.

E non è tutto. I parchi dell’Est della Rd Congo assistono all’avanzata delle società minerarie e petrolifere, che riducono gli spazi della fauna selvatica. Nel 2018, il ministro degli Idrocarburi Aimé Ngoi Mukena ha proposto di declassificare porzioni dei parchi dei Virunga e di Salonga, che figurano nel patrimonio mondiale Unesco, per autorizzarvi prospezioni petrolifere. Il Parco di Kahuzi-Biega e la riserva di Itombwe subiscono l’assalto della canadese Banro, che vi conduce ricerche minerarie dal giugno 2018, seminando con i suoi elicotteri il panico tra gli animali.

Tutta la problematica è dovuta in gran parte alla cattiva governance prevalente in Congo, dove il ministero delle Miniere ha concesso permessi senza curarsi di sapere se andassero a confliggere con aree protette.

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